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Fare ACT

Fare ACT

L’ACT è un’applicazione della psicologia comportamentale contestuale, è “davvero un’Analisi del Comportamento Applicata”, come ci ricorda Kelly Wilson, uno dei co-fondatori, insieme a Steven Hayes e Kirk Strosahl, di questa psicoterapia di terza onda delle terapie cognitive e comportamentali.


E se il termine comportamentismo può suonare strano oppure curioso, ebbene sappiate che ciò di cui l’ACT si occupa è proprio il continuo flusso di attività in divenire di un organismo in interazione dinamica con il contesto in cui tale flusso accade; in altre parole, il “comportamento-nel-contesto”.


Con “comportamento”, s’intende ogni cosa che un organismo fa: camminare, parlare, sentire, sperare, desiderare, pensare, provare sentimenti, ecc…


Con “contesto”, ci si riferisce a tutto ciò che accade ad un organismo e perciò tutto quello che gli è accaduto dalla sua nascita che possa avere influenzato o modificato in qualche modo il suo comportamento e quindi sia il contesto storico riferito alla sua storia di apprendimento, sia il contesto attuale, privato e pubblico.


Comportamento e contesto sono indivisibili, non può esserci l’uno senza l’altro e ciò che nell’ACT interessa è la relazione funzionale tra contesto e comportamento piuttosto che la sua forma per spiegare e comprendere cosa una persona fa e perché, e aiutarla ad essere libera dalla sofferenza, cioè essere libera di vivere una vita che abbia senso e scopo.


Quando una persona fa qualcosa in presenza di un certo stimolo contestuale sulla base della sua storia di apprendimento, possiamo dire che c’è una relazione funzionale tra lo stimolo/contesto e la risposta/comportamento della persona.

Quando i comportamentisti parlano della “funzione di un comportamento” non stanno prendendo in considerazione lo scopo o l’intenzione di una persona quando fa qualcosa, ma si riferiscono all’impatto, alle conseguenze dell’azione di quella persona in un dato momento, in uno specifico contesto.


Per esempio, un paziente potrebbe dire: “Ho paura di poter fare del male ai miei familiari. Sono una persona terribile!”
Come terapeuti noi siamo il contesto in cui avviene questo comportamento e la nostra risposta influenzerà l’altra persona in relazione al suo contesto attuale e storico. Allo stesso tempo quella cognizione, il pensare a quei contenuti (comportamento-azione), avrà un impatto/una funzione sulla persona stessa e sul terapeuta e tale conseguenza presumibilmente evocherà dei contesti privati ai quali il terapeuta potrebbe rispondere reattivamente e/o esserne inconsapevole e di conseguenza essere meno libero di scegliere quale intervento attuare.

Pertanto, diviene fondamentale che il terapeuta ACT sia consapevole e presente momento per momento e in maniera non giudicante, abile nell’osservare cosa sta accadendo in se stesso, nel paziente e nella relazione terapeutica. Questa abilità è in relazione ai processi di attenzione intenzionale e fluida e di presa di prospettiva flessibile, due dei sei processi del modello ACT.

Questi processi si intrecciano con quelli di defusione ed accettazione per riconoscere e discriminare l’esperienza del
modo interno dall’esperienza del mondo esterno, e dare così vita ad uno spazio di libertà dal quale guardare con curiosità pensieri ed emozioni ed indebolire il loro controllo sulle azioni e all’interno del quale poter entrare in contatto con le conseguenze di azioni che riflettono quello che è davvero importante per noi e scegliere di impegnarci ad agire passo dopo passo verso la direzione desiderata.


La frase precedente può aprire le porte, a seconda del momento in cui ci troviamo in terapia, a processi di defusione dai pensieri o di apertura alle emozioni oppure di presa di prospettiva su di sé, ma anche di esplorazione di ciò che conta di più nella vita per il paziente.


Sempre a proposito di funzioni del comportamento-in-un-contesto, per esempio, leggete le seguenti frasi, fate una pausa dopo ogni frase e notare cosa suscitano in voi:


“Giorgio è un bambino.”

“Giorno è un bambino a cui piace mangiare i dolci.”



“Giorgio è un bambino a cui piace mangiare i dolci solo una volta alla settimana.”



Cosa avete notato? A quali funzioni del contesto, in questo caso le parole, avete risposto, (risposta = pensieri, emozioni e sensazioni corporee emersi in relazione alle funzioni dello stimolo)?


Il terapeuta attraverso i suoi interventi mira a sviluppare e potenziare i sei processi del modello ACT nel paziente per promuovere un cambiamento.

Ogni tentativo di acquisire conoscenza richiede una presa di prospettiva e non a caso questo è uno dei processi di base per fare un’esperienza di sé che trascenda un’identificazione coi contenuti della propria coscienza e che possa aprire a nuove possibilità e quindi a nuovi comportamenti e a nuove conseguenze.


L’ACT è una psicoterapia che non mira quindi alla riduzione dei sintomi come obiettivo primario, ciò può avvenire come conseguenza di un cambiamento che coinvolge i sei processi psicologici, che secondo il modello, sono alla base del funzionamento di ogni persona.

Infatti in quest’ottica, cliente e terapeuta condividono, in virtù del loro essere umani, gli stessi processi psicologici e il cliente non è considerato come una persona che “ha” un problema, che va aggiustato o che è difettoso, ma come un individuo completo i cui comportamenti sono sotto il controllo di alcuni processi che, a discapito di altri, restringono il suo repertorio comportamentale e la possibilità di vivere esperienze diverse da quelle in cui si trova e per le quali spesso giunge in terapia proprio per liberarsene.

Articolo a cura di Fabrizio Tabiani, Psicologo, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Terapeuta ACT, Terapeuta EMDR, Istruttore MBSR e MBCT.

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