Pubblicato il

Le terapie immaginative – Claudio Widmann

Le Terapie immaginative - Claudio Widmann

Claudio Widmann è analista junghiano, membro  del CIPA (Centro Italiano di Psicologia Analitica) e della IAAP (International Association for Analytical Psychology), docente di teoria del simbolismo e di tecniche dell’immaginario in varie scuole di specializzazione in psicoterapia.

Nel corso online per Formapsicologi, Widmann offre un interessante e approfondito viaggio attraverso le molteplici terapie immaginative.

Si parte dalla loro storia, che affonda radici nell’antichità (nelle culture greca, egiziana, nativa americana, iraniana …) e si prosegue esponendo come la psicologia, nei suoi diversi orientamenti, abbia sviluppato vari approcci all’immagine mentale: ipnosi, immaginazioni libere, visualizzazioni guidate, desensibilizzazioni sistematiche ecc.

Nell’excursus di tecniche presentate, il terapeuta, in quanto rappresentante simbolico della coscienza, cambia il suo grado di intervento e di “atteggiamento attivo”: in alcune tecniche il terapeuta è molto direttivo, in altre invece non introduce forzature nello scenario del paziente, ma si limita a offrire stimolazioni per promuovere il manifestarsi di temi e l’evolversi di scenari già potenzialmente presenti (la “direttività neutra” del Rêve Eveillé Dirigé di Desoille); esistono inoltre approcci, come nell‘immaginazione autogena di Schultz, in cui il terapeuta è in silenzio e non viene esercitata nessuna suggestione verbale, cosicché l’organismo possa esprimersi in modo davvero autogeno, ossia determinato dall’interno, in un atteggiamento, anche da parte del paziente, di totale accettazione di quanto accade dentro sé stessi (“concentrazione passiva e lasciar-accadere”).

Tale disposizione psicologica la ritroviamo nell’immaginazione guidata di Jung, in cui è l’inconscio ad avere voce in capitolo, il terapeuta è come se fosse messo fuori dalla porta e tutto si sviluppa in un dialogo tra la persona e le figure del proprio immaginario.

Nel corso, oltre ad una ricca esposizione teorica, sono state condotte anche dimostrazioni pratiche. In particolare, ho avuto il piacere di partecipare all’esercizio di visualizzazione di un fiore, in cui ho provato in prima persona la meraviglia del lavoro con le immagini mentali, oltre ad essere stata una preziosa occasione per apprendere passaggi tecnici e indicazioni pratiche.

Bibliografia: Widmann, C. (2004). Le terapie immaginative. Edizioni Magi.

Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito il Livello 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).


Ti interessa questo argomento?

Pubblicato il

La Schema Therapy per il Narcisismo – Wendy T. Behary

La Schema Therapy per il Narcisismo - Wendy T.Behary

Wendy T. Behary, fondatrice e direttrice del Cognitive Therapy Center of New Jersey e degli Schema Therapy Institutes of NJ-NYC-DC., è uno dei massimi esperti internazionali di narcisismo.

Nel corso online in diretta da New York tenuto per Formapsicologi, Wendy Behary ci ha guidati alla comprensione del mondo psicologico dei narcisisti, pazienti considerati difficili per le varie criticità che possono emergere nel loro trattamento: brillanti, intelligenti e impegnati a primeggiare sempre, sono anche persone con un comportamento egocentrico, dalle tante esigenze e pretese, e che tendono a porsi su un piedistallo da cui giudicano tutto e tutti con distacco e disprezzo.

E’ quindi frequente provare come terapeuti un senso di frustrazione, specie se si attiva lo schema di inadeguatezza/senso di colpa, ma la Behary ci dice che “dobbiamo poter fare la differenza”. Pertanto, all’interno del modello teorico-clinico di riferimento della Schema Therapy, la Behary ci fornisce una guida per l’individuazione, comprensione e gestione degli schemi/mode che si attivano nel narcisista e nel terapeuta e ci presenta inoltre l’elemento essenziale, la “pepita d’oro”, del trattamento: l’empatia.

Attraverso la comprensione delle origini del narcisimo, in particolare delle esperienze infantili vissute da questi pazienti, possiamo mantenere quell’atteggiamento di confronto empatico, che previene cicli di conflitto/competizione, permettendoci inoltre di entrare in connessione con la parte più vulnerabile che il narcisista si sforza di non far vedere, il bambino solo/vergognoso, e fungere da agenti di re-parenting, non per cambiare la storia (è impossibile cambiare ciò che ormai è stato), ma per modificare come quella storia è stata costruita nella mente.

Nel lavoro terapeutico, infatti, possiamo offrire delle esperienze emotive diverse e, con il potente strumento dell’immaginazione, mediante esercizi guidati (per cui la Behary ci fornisce esempi con suoi casi clinici), possiamo far sperimentare al paziente come sarebbe stato se quella esperienza fosse stata soddisfatta: in particolare, per il narcisista, come si sentirebbe se fosse amato perchè va bene così com’è, a prescindere dalla perfomance e dal primeggiare.

Nell’infanzia dei narcisisti, infatti, comune è la presenza di figure di riferimento esigenti e critiche, che hanno trasmesso il messaggio che, per essere apprezzati, bisognasse sforzarsi per essere sempre i migliori. Il bambino cresce quindi con l’idea di non essere mai abbastanza, con un costante bisogno di ricerca di approvazione e privo di quell’amore incondizionato, che permette invece di sentirsi di valore a prescindere.

Il fatto inoltre di essere riconosciuti solo per le cose straordinarie che fanno, li porta a coltivare la percezione di essere speciali e in diritto di ottenere qualsiasi cosa vogliano.

All’interno di una cornice di regole di setting predefinite che il paziente deve rispettare per imparare a tollerare la frustrazione, il terapeuta lavora affinchè il paziente impari dapprima ad essere empatico verso sé stesso, a comprendere come si sono creati i pattern disfunzionali di comportamento e la loro funzione, oltre che le conseguenze negative a cui lo hanno portato e di cui è importante se ne assuma la responsabilità.

“Più comprendono, più capiscono che non devono fare così tanto per essere amati” e, in questo modo, è possibile “disarmare” il narcisista  affinchè si senta libero di comprendere che anche lui è un essere umano e impari ad entrare in contatto con la sofferenza del proprio bambino solo interiore e a prendersene cura mediante la parte dell’adulto sano, che si cerca di sviluppare e promuovere in terapia coinvolgendola come co-terapeuta.

Gli ostacoli nel perseguimento di questi obiettivi sono molteplici ma Wendy Behary, nel corso, ci fornisce anche utili e preziosi suggerimenti e strategie pratiche per poterli superare e far in modo che il paziente mantenga la motivazione al trattamento.

Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito il Livello 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).


Ti interessa questo argomento?

Pubblicato il

Fare ACT

Fare ACT

L’ACT è un’applicazione della psicologia comportamentale contestuale, è “davvero un’Analisi del Comportamento Applicata”, come ci ricorda Kelly Wilson, uno dei co-fondatori, insieme a Steven Hayes e Kirk Strosahl, di questa psicoterapia di terza onda delle terapie cognitive e comportamentali.


E se il termine comportamentismo può suonare strano oppure curioso, ebbene sappiate che ciò di cui l’ACT si occupa è proprio il continuo flusso di attività in divenire di un organismo in interazione dinamica con il contesto in cui tale flusso accade; in altre parole, il “comportamento-nel-contesto”.


Con “comportamento”, s’intende ogni cosa che un organismo fa: camminare, parlare, sentire, sperare, desiderare, pensare, provare sentimenti, ecc…


Con “contesto”, ci si riferisce a tutto ciò che accade ad un organismo e perciò tutto quello che gli è accaduto dalla sua nascita che possa avere influenzato o modificato in qualche modo il suo comportamento e quindi sia il contesto storico riferito alla sua storia di apprendimento, sia il contesto attuale, privato e pubblico.


Comportamento e contesto sono indivisibili, non può esserci l’uno senza l’altro e ciò che nell’ACT interessa è la relazione funzionale tra contesto e comportamento piuttosto che la sua forma per spiegare e comprendere cosa una persona fa e perché, e aiutarla ad essere libera dalla sofferenza, cioè essere libera di vivere una vita che abbia senso e scopo.


Quando una persona fa qualcosa in presenza di un certo stimolo contestuale sulla base della sua storia di apprendimento, possiamo dire che c’è una relazione funzionale tra lo stimolo/contesto e la risposta/comportamento della persona.

Quando i comportamentisti parlano della “funzione di un comportamento” non stanno prendendo in considerazione lo scopo o l’intenzione di una persona quando fa qualcosa, ma si riferiscono all’impatto, alle conseguenze dell’azione di quella persona in un dato momento, in uno specifico contesto.


Per esempio, un paziente potrebbe dire: “Ho paura di poter fare del male ai miei familiari. Sono una persona terribile!”
Come terapeuti noi siamo il contesto in cui avviene questo comportamento e la nostra risposta influenzerà l’altra persona in relazione al suo contesto attuale e storico. Allo stesso tempo quella cognizione, il pensare a quei contenuti (comportamento-azione), avrà un impatto/una funzione sulla persona stessa e sul terapeuta e tale conseguenza presumibilmente evocherà dei contesti privati ai quali il terapeuta potrebbe rispondere reattivamente e/o esserne inconsapevole e di conseguenza essere meno libero di scegliere quale intervento attuare.

Pertanto, diviene fondamentale che il terapeuta ACT sia consapevole e presente momento per momento e in maniera non giudicante, abile nell’osservare cosa sta accadendo in se stesso, nel paziente e nella relazione terapeutica. Questa abilità è in relazione ai processi di attenzione intenzionale e fluida e di presa di prospettiva flessibile, due dei sei processi del modello ACT.

Questi processi si intrecciano con quelli di defusione ed accettazione per riconoscere e discriminare l’esperienza del
modo interno dall’esperienza del mondo esterno, e dare così vita ad uno spazio di libertà dal quale guardare con curiosità pensieri ed emozioni ed indebolire il loro controllo sulle azioni e all’interno del quale poter entrare in contatto con le conseguenze di azioni che riflettono quello che è davvero importante per noi e scegliere di impegnarci ad agire passo dopo passo verso la direzione desiderata.


La frase precedente può aprire le porte, a seconda del momento in cui ci troviamo in terapia, a processi di defusione dai pensieri o di apertura alle emozioni oppure di presa di prospettiva su di sé, ma anche di esplorazione di ciò che conta di più nella vita per il paziente.


Sempre a proposito di funzioni del comportamento-in-un-contesto, per esempio, leggete le seguenti frasi, fate una pausa dopo ogni frase e notare cosa suscitano in voi:


“Giorgio è un bambino.”

“Giorno è un bambino a cui piace mangiare i dolci.”



“Giorgio è un bambino a cui piace mangiare i dolci solo una volta alla settimana.”



Cosa avete notato? A quali funzioni del contesto, in questo caso le parole, avete risposto, (risposta = pensieri, emozioni e sensazioni corporee emersi in relazione alle funzioni dello stimolo)?


Il terapeuta attraverso i suoi interventi mira a sviluppare e potenziare i sei processi del modello ACT nel paziente per promuovere un cambiamento.

Ogni tentativo di acquisire conoscenza richiede una presa di prospettiva e non a caso questo è uno dei processi di base per fare un’esperienza di sé che trascenda un’identificazione coi contenuti della propria coscienza e che possa aprire a nuove possibilità e quindi a nuovi comportamenti e a nuove conseguenze.


L’ACT è una psicoterapia che non mira quindi alla riduzione dei sintomi come obiettivo primario, ciò può avvenire come conseguenza di un cambiamento che coinvolge i sei processi psicologici, che secondo il modello, sono alla base del funzionamento di ogni persona.

Infatti in quest’ottica, cliente e terapeuta condividono, in virtù del loro essere umani, gli stessi processi psicologici e il cliente non è considerato come una persona che “ha” un problema, che va aggiustato o che è difettoso, ma come un individuo completo i cui comportamenti sono sotto il controllo di alcuni processi che, a discapito di altri, restringono il suo repertorio comportamentale e la possibilità di vivere esperienze diverse da quelle in cui si trova e per le quali spesso giunge in terapia proprio per liberarsene.

Articolo a cura di Fabrizio Tabiani, Psicologo, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Terapeuta ACT, Terapeuta EMDR, Istruttore MBSR e MBCT.

Ti interessa questo argomento?


Pubblicato il

Coppia, tradimento ed EFT

Coppia, tradimento ed EFT

Cosa è l’Emotionally Focused Therapy (EFT)? È possibile aiutare le coppie che hanno affrontato un tradimento con questo modello?

L’EFT (Emotionally Focused Therapy) è un affermato approccio umanistico alla psicoterapia formulato negli anni ’80 e sviluppato parallelamente allo sviluppo della scienza dell’attaccamento degli adulti, dando vita a una prospettiva di sviluppo profondo della personalità e delle relazioni intime. Questa scienza ha ampliato la nostra comprensione delle disfunzioni individuali e della salute, così come la natura delle relazioni d’amore e dei legami familiari.

L’attaccamento vede gli esseri umani come persone innatamente relazionali, sociali e connesse a un legame intimo con gli altri. Il modello EFT dà priorità alle emozioni e alla regolazione emotiva come agenti organizzativi fondamentali nell’esperienza individuale e nelle principali interazioni relazionali.

La ricerca sull’EFT fino ad oggi si è concentrata sui risultati e sui processi di studio del cambiamento con le coppie, e l’EFT per le coppie è il gold standard per interventi empiricamente validati in questo campo secondo l’APA (American Psychological Association).

L’EFT è principalmente conosciuto come un intervento di coppia all’avanguardia, sperimentato e collaudato, ed è anche usato per affrontare in terapia individuale (EFIT – Emotionally Focused Individual Therapy) la depressione, l’ansia e lo stress post traumatico e per riparare i legami familiari (EFFT – Emotionally Focused Family Therapy). Questo modello applica i principi della scienza dell’attaccamento utilizzando tecniche esperienziali non patologizzanti (dall’approccio umanistico di Carl Rogers) e dei sistemi relazionali (dal lavoro sistemico di Salvador Minuchin) per focalizzare e cambiare i fattori organizzativi fondamentali sia del Sé che delle relazioni chiave.

L’EFT ha anche generato molti programmi di educazione alla relazione, per esempio il programma “Hold Me Tight: Conversations for Connection” e il programma “Healing Hearts Together” per coppie nelle quali sono presenti casi di disturbi cardiaci. Inoltre si avvale di un modello specifico per lavorare con le ferite di attaccamento causate internamente alla relazione, quali ad esempio i tradimenti: L’AIRM (Attachment Injuries Repair Model – Lorrie Brubacher)

EFT per coppie (EFCT)

L’EFCT è un approccio strutturato a breve termine (da 8 a 20 sedute) specifico per le coppie. Gli interventi in EFCT integrano un approccio umanistico ed esperienziale alla ristrutturazione dell’esperienza emotiva e un approccio strutturale sistemico alle interazioni di ristrutturazione.

Esiste oggi un corpus sostanziale di ricerche sull’efficacia dell’EFCT. Questa ricerca mostra ampie misure di effetto del trattamento e risultati stabili nel tempo. L’EFCT è utilizzato con successo con molti tipi diversi di coppie nella pratica privata, nei centri di formazione universitari e nelle cliniche ospedaliere. Esistono ricerche che ne evidenziano l’efficacia in coppie in cui uno dei partner mostra diverse tipologie di sintomi come la depressione, l’ansia,  il PTSD, malattie mediche, disturbi di personalità e con problemi riguardanti il perdono di ferite d’attaccamento fra i partner.

L’EFCT è utilizzato con diversi gruppi culturali e livelli di istruzione in Nord America, Australia, Nuova Zelanda, Europa, Africa e Asia e coppie LGBTQI.

Il lavoro EFT nei casi di infedeltà.

Quando la figura primaria dell’attaccamento è sia la fonte che la soluzione al dolore e alla paura in una relazione, il risultato è la rottura del legame di attaccamento e la distruzione del matrimonio (Johnson, 2005).

L’ infedeltà può apparire sotto diverse forme. In ognuna di esse, in un rapporto impegnato, può essere un immenso trauma per entrambi i partner e per il rapporto stesso. Spesso la notizia di una relazione esterna alla coppia è come una bomba che esplode nel bel mezzo della relazione, e può cogliere l’altro partner completamente di sorpresa, facendo sentire quella persona scioccata, tradita, arrabbiata, gelosa, inutile, sola o confusa.

I partner che hanno avuto la relazione possono provare senso di colpa, vergogna, perdita di rispetto per se stessi. In alcuni casi, possono sentire di aver perso la voce e l’identità e non essere in grado di affrontare il dolore che hanno causato al partner. Il tradimento sessuale nel matrimonio è estremamente distruttivo per la relazione. Quindi non solo crea un dolore inimmaginabile per il coniuge tradito, ma lacera anche il legame stesso che tiene insieme il matrimonio o la relazione.

Molte coppie vengono in terapia di coppia in un momento simile per cercare di capire cosa è appena successo nella loro relazione e per cercare di recuperare e andare avanti. Considerano una varietà di opzioni lungo il percorso, tra cui la separazione e il divorzio, e spesso è un processo lungo e faticoso per ricostruire la fiducia, l’amore e la sicurezza emotiva.

Una coppia che lavora ad una relazione deve capire perché l’infedeltà è avvenuta, e quali sono le garanzie che non accadrà più. Deve giungere a una nuova comprensione del proprio rapporto e dell’altro, e piangere la perdita dell’innocenza della relazione precedente.

Riacquistare la fiducia è un processo che richiede molto tempo e richiede nuove promesse da fare e mantenere nel tempo. Spesso, tuttavia, la coppia può giungere a una nuova comprensione reciproca che le permette di sentire una maggiore connessione e una relazione rivitalizzata anche dopo la relazione. Alcune coppie finiscono per rendersi conto che “Sì, si può ottenere il divorzio e avere una nuova relazione con un’altra persona, oppure si può cercare di avere una relazione diversa con la stessa persona”.

I difficili problemi che le coppie si trovano ad affrontare dopo un tradimento possono essere ignorati o trattati in modo superficiale da psicoterapeuti inesperti che non hanno familiarità con le esigenze di queste coppie.

Sintomi come l’eccessiva ruminazione, l’ipervigilanza e i flashback che si alternano con l’evitamento e l’intorpidimento sono sintomi chiave che hanno fatto notare ad alcuni che molti dei sintomi sperimentati dai coniugi traditi corrispondono ai sintomi del disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

In sostanza, l’episodio non è un ricordo calmo e lontano, ma è vivo e presente, continuando a tenere in ostaggio un rapporto matrimoniale alle sue forze distruttive anche dopo anni dal momento dell’evento. I ricercatori, rispetto a questo, hanno anche notato che nei casi di infedeltà, i partner usano spesso proprio il linguaggio del trauma quando descrivono la loro esperienza, comunicando in termini di vita o di morte.

Leggendo queste parole attraverso la lente della teoria dell’attaccamento, i terapeuti e i ricercatori hanno sviluppato quindi il concetto di ferite di attaccamento e hanno acquisito una migliore comprensione del loro impatto sulla coppia ferita dall’attaccamento.

In Emotionally Focused Therapy (EFT), con l’utilizzo del modello AIRM (Attachment Injuries Repair Model – Lorrie Brubacher) l’attenzione non si concentra quindi semplicemente sul  contenuto del tradimento sessuale in sé, ma sugli effetti emotivi causati dal danno all’attaccamento causato dal tradimento.

Il terapeuta EFT con l’utilizzo di questo modello, strutturato in 7 movimenti e momenti specifici in cui entrambi i partner affrontano e rivivono in modo esperienziale l’evento, può quindi aiutare la coppia ad affrontare queste violazioni della fiducia, e lavorerà per fornire esperienze riparative durante la seduta che faciliteranno la riparazione del legame di attaccamento.

L’obiettivo sarà quello di migliorare i comportamenti di attaccamento, che a loro volta miglioreranno il rapporto angosciato. Il terapeuta, quindi, guiderà la coppia a identificare e comprendere le emozioni sottostanti e a stabilire modelli più sani di interazione per incoraggiare l’apertura e la fiducia tra i partner anche dopo l’evento ricostruttivo dell’evento traumatico.

Le fasi chiave identificate nella risoluzione delle ferite, sia che si tratti di coinvolgimenti extraconiugali che di altre violazioni della fiducia sono, in forma riassunta, le seguenti: [riportato da “Broken Bonds: An Emotionally Focused Approach to Infidelity – Susan M. Johnson]

1. Uno dei membri della coppia descrive il momento traumatico in cui si è sentita/o tradita, abbandonata/o e impotente, sperimentando una violazione della fiducia nella relazione e perdendo la sensazione di legame sicuro. L’incidente è dolorosamente vivo e presente piuttosto che un tranquillo ricordo. Il/la partner potrebbe negare, oppure minimizza l’incidente e il dolore dell’altro/a e spostarsi in posizione difensiva.

2. Con l’aiuto del terapeuta, il partner ferito rimane in contatto con la ferita e comincia ad articolare esplicitamente il suo impatto e il suo significato di attaccamento. A questo punto emergono spesso emozioni nuove o negate. La rabbia si evolve spesso in una chiara espressione di dolore, impotenza, paura e vergogna. Il collegamento della ferita con i cicli negativi presenti nel rapporto diventa chiaro.

3. Il partner supportato dal terapeuta comincia a sentire e a capire il significato degli eventi che hanno causato la ferita, e a capire in termini di attaccamento, come riflesso della sua importanza per l’altro/a, piuttosto che come semplice riflesso delle sue inadeguatezze personali o “sbagli”. A questo punto il partner riesce a riconoscere quindi il dolore e la sofferenza del partner ferito ed elabora come si sono evolute per lui stesso le ferite, in modo che le sue azioni diventino chiare e comprensibili per il partner ferito.

4. Il partner ferito si muove poi provvisoriamente verso un’articolazione più integrata e completa del tradimento. Con l’aiuto del terapeuta, questa narrazione è ora resa chiara e organizzata. Essa racchiude la perdita che circonda la lesione e le paure e bisogni di attaccamento. Questo partner, sostenuto dal terapeuta, permette all’altro di testimoniare la sua vulnerabilità.

5. Il partner che ha causato la ferita diventa allora più coinvolto emotivamente e riconosce la responsabilità per la sua parte nella ferita di attaccamento/infedeltà ed esprime empatia, rammarico e/o rimorso in un in modo congruente ed emotivamente impegnato.

6. Il coniuge ferito riesce a correre il rischio di chiedere il conforto e accudimento dal partner che non erano disponibili al momento dell’evento, rispetto alla scoperta dell’infedeltà o nelle precedenti discussioni della coppia sull’infedeltà/lesione.

7. L’altro membro della coppia risponde in modo aperto e premuroso che agisce come un antidoto all’esperienza traumatica della lesione da attaccamento. I partner sono quindi in grado di costruire insieme una nuova narrazione della ferita. Questa narrazione è ordinata e comprende, per il partner ferito un senso chiaro e accettabile di come l’altro è diventato e come questa relazione è ora risolta e diversa.

La coppia si ricostruisce quindi più fiduciosa, aperta e dopo questa interazione di guarigione che rinnova e ripara il legame tra loro è in grado di passare alla terza fase di consolidamento EFT.

Bibliografia essenziale

Johnson S.M. (2020), The practice of Emotionally Focused Couple Therapy, Creating Connection, 3rd Edition, Routledge, Londra.

Johnson, S.M. (2019), Attachment Theory in Practice: Emotionally Focused Therapy (EFT), Guilford, New York.

Johnson, S.M. (2014), Love Sense, ISC, Sassari.

Johnson, S.M. (2012) Stringimi Forte, ISC, Sassari.

Articolo a cura di Giulia Altera (Trainer, Supervisore, Terapeuta certificata dall’ICEEFT di Ottawa in EFT, co- fondatrice della Comunità EFT Italia e Direttrice del Centro EFT Nord Italia) e Andrea Pagani (Co-fondatore della Comunità EFT Italia, Direttore dell’EFT Roma Center, Trainer, Supervisore e Terapeuta certificato dall’ICEEFT di Ottawa).


Ti interessa questo argomento?