Narra il mito che la dea Afrodite, invidiosa della straordinaria bellezza di Psiche, chiese a suo figlio Eros di scoccare una freccia su di lei, facendola innamorare dell’uomo più brutto della Terra. Eros però, vedendola, ne rimase a tal punto incantato che, per distrazione, una delle sue frecce lo colpì al piede e si innamorò perdutamente di lei. Da allora, ogni sera Eros andava dalla fanciulla per vivere il loro amore insieme, senza mostrarle mai il suo volto.
Psiche tuttavia, incuriosita dall’identità del proprio amante, una sera ne illuminò il volto con una lanterna, ma una goccia d’olio bollente cadde su Eros che, svegliatosi, scappò via abbandonando la ragazza. Psiche allora cominciò a cercarlo dappertutto e Afrodite, piena di ira per quanto accaduto, la sottopose a difficilissimi prove.
I racconti presentati nella raccolta, edita da Buendia Books, “Psicoporno – Dodici racconti alla ricerca di Eros” che ho avuto la possibilità di leggere in anteprima, sembrano le prove che Psiche deve affrontare nella sua ricerca disperata di Eros. A tessere la trama del viaggio di Psiche stavolta troviamo tre coraggiose psicologhe che, ognuna con il proprio background e il proprio stile, offrono al lettore dodici diversi scenari accomunati dall’eterno ricercarsi di Amore e Psiche.
Le tre coraggiose psicologhe sono Valeria Bianchi Mian, psicoterapeuta junghiana, Debora Riva psicologa dell’universo Underground, e Laura Salvai, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e sessuologa. I racconti sono organizzati in triplette e, leggendoli, si ha la sensazione di un lavoro corale dove le tre anime delle scrittrici, pur nella loro riconoscibile diversità, si armonizzano accompagnando il lettore nei meandri della sessualità: da desiderio squisitamente umano fino a spingersi a illuminarne anche i risvolti più oscuri, quando in particolare l’eros si intreccia ai disturbi parafilici, alla disperazione più profonda fino alle condotte cruentemente criminali.
Il tutto viene presentato con uno sguardo mai giudicante bensì volto a descrivere, narrare, comprendere, mettendo da parte le convenzioni, a tratti con una punta di ironia in alcuni racconti, ma sicuramente senza fare censure e con una ricerca di un’autenticità non costretta dal giudizio morale.
Nei racconti di Valeria Bianchi Mian eros, archetipo e mito si intrecciano in storie che raggiungono picchi intensi, noir e tragicamente dolorosi come in “Odi et amo”.
Debora Riva ci guida all’interno del mondo del kink, della sessualità atipica, dando voce al vissuto non solo di chi prova pratiche erotiche meno convenzionali, ma anche di uno degli strumenti attraverso cui questo si realizza, come nell’originale e ironico “Memorie di un dildo”.
Laura Salvai esprime appieno la sua passione non solo per la psicologia e la sessuologia ma anche per il cinema, offrendo dei racconti capaci di evocare immagini potenti, che scorrono come in un film dai risvolti a tratti horror a tratti thriller, con finali dove si ci trova constantemente spiazzati e dove nulla è come sembra fino a un attimo prima. Nel suo racconto “Feedee” parafilia e thriller hanno l’incontro più ravvicinato e scioccante.
Ad arricchire questa intensa raccolta di racconti ci sono le evocative illustrazioni in bianco e nero di Valeria Bianchi Mian con il contributo di Debora Riva e Laura Salvai e, alla fine, anche un glossario volto a “guidare i lettori dentro il labirinto del piacere e del dolore”, in cui vengono descritti diversi termini usati dalle autrici nelle loro storie, dando la possibilità anche di imparare aspetti non conosciuti della sessualità.
Da psicologa, appassionata lettrice di libri e cinefila, ho trovato in “Psicoporno – Dodici racconti alla ricerca di Eros” non solo un libro estremamente interessante, ma anche una lettura emotivamente potente e coinvolgente, dove ogni racconto attira alla lettura del successivo e da cui, alla fine, ne sono uscita piacevolmente provata, come una moderna Psiche attraverso il complesso mondo di Eros, tra energia attrattiva e repulsiva.
Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito i livelli 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e i livelli basic e intermediate del training in Terapia Metacognitiva Interpersonale
Vuoi approfondire? Guarda l’intervista completa alle autrici qui:
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La tripofobia è la paura di configurazioni irregolari di piccoli buchi o protuberanze. La visione di questi stimoli ma anche di cerchi convessi, punti chiusi ed esagoni a nido d’ape può determinare paura e disgusto.
Precedenti studi sullo sviluppo della Tripofobia hanno dimostrato che i bambini di 4 anni preferiscono immagini neutre a immagini clusterizzate. Con immagini clusterizzate si intendono immagini che hanno all’interno elementi simili tra di loro.
Da questi studi non è tuttavia chiaro se lo stesso principio valga per le immagini con caratteristiche adatte a provocare tripofobia.
In questo lavoro i ricercatori hanno valutato l’esposizione a immagini tripofobiche in bambini tra i 4 e i 9 anni utilizzando una scala di valutazione della tripofobia basata su una modifica della scala utilizzata per gli adulti.
Ai partecipanti è stato chiesto di valutare 5 immagini di tripofobia e neutre fornendo una valutazione da 1 a 4 su una scala per la valutazione di disgusto, paura, prurito, piacere.
I partecipanti di tutte le età hanno valutato come più disgustose, paurose e stimolanti prurito le immagini tripofobiche confrontandole con quelle neutre. Questi risultati suggeriscono che i bambini già a 4-5 anni rispondono alle immagini tripofobiche differentemente che a quelle neutre proprio come accade per gli adulti e che la tripofobia sembra comparire almeno dai 4-5 anni di età.
Suzuki, C., Shirai, N., Sasaki, K. et al. Preschool children aged 4 to 5 years show discomfort with trypophobic images. Sci Rep 13, 2768 (2023). https://doi.org/10.1038/s41598-023-29808-1
La formazione in Schema Therapy prevede una certificazione riconosciuta dalla società internazionale di Schema Therapy.
Puoi accedere al training se sei psicoterapeuta o se frequenti il terzo o quarto anno della scuola di specializzazione in psicoterapia. Questo requisito non è derogabile ed è richiesto Società internazionale di Schema Therapy (https://schematherapysociety.org/page-19653).
La Società Internazionale per quanto riguarda la Schema Therapy Individuale può rilasciare un certificato base e uno avanzato.
I requisiti per la certificazione base sono:
Frequentare un Training riconosciuto dalla Società Internazionale di Schema Therapy e condotto da Trainer Certificati dalla stessa (la parte didattica deve essere di almeno di 25 ore, la parte esperienziale di almeno 15)
Svolgere almeno 20 ore di supervisione con un Supervisore
Far valutare da un trainer supervisore esterno al training un audio/video di una seduta di ST oltre alla concettualizzazione del caso
Il completamento del percorso di certificazione deve avvenire entro 3 anni dalla fine del training
I requisiti per la certificazione avanzata comprendono:
Ulteriori 20 ore di supervisione
La valutazione di due sessioni da parte di un rater indipendente con un punteggio minimo di 4.5
Il training certificato in Schema Therapy comprende 64 ore di formazione teoriche pratiche on-line con esercizi svolti all’interno delle stanze.
La formazione viene svolta in 4 weekend da 16 ore ciascuno e viene approfondita la teoria e la pratica della Schema Therapy così come gli interventi sui disturbi di personalità borderline, narcisista, evitante e antisociale.
Il percorso rilascia 50 crediti ECM e coinvolge tre trainer e supervisori Schema Therapy certificati.
Cosa arriverai a padroneggiare al termine della formazione?
L’assessment attraverso questionari, colloquio, tecniche immaginative.
La concettualizzazione di un caso mediante il modello della Schema Therapy
Svolgere un colloquio secondo i principi della ST e utilizzare le strategie esperienziali, relazionali, cognitive, comportamentali.
Valutare i risultati ed individuare il termine del percorso.
Cos’è la società Internazionale di Schema Therapy (ISST)?
Si tratta dell’organizzazione associativa fondata nel 2008 che riunisce clinici, ricercatori e sostenitori della Schema Therapy.
Si occupa di gestire gli standard di formazione per i clinici, i formatori e i supervisor che si occupano di Schema Therapy.
Qual è la storia della Schema Therapy
La Schema Therapy inizia ad essere sviluppata a metà degli anni 80 da Jeffrey Young, Ph.D., per aiutare i pazienti che soffrivano cronicamente di psicopatologie e con disturbi di personalità che le psicoterapie classicamente utilizzate non riuscivano a trattare adeguatamente.
La Schema Therapy andò ad integrare in un sistema teorico semplice e coerente i contributi di altri approcci psicoterapeuti tra i quali: psicodinamico, cognitivo comportamentale, gestalt, analisi transazionale, ipnosi.
L’idea fu quella di prendere i concetti e tecniche più utili ed utilizzarli con una cornice teorica che partiva dall’identificazione dei bisogni emotivi universali.
Il modello infatti aiuta il paziente a soddisfare i suoi bisogni emotivi infantili di base attraverso l’ausilio di tecniche esperienziali, relazionali, cognitive e comportamentali.
La Schema Therapy è un approccio ottimale per trattare i traumi sia semplici che complessi utilizzando tecniche immaginative ed esperienziali.
Aiuta il paziente a riconoscere le parti di sé e a prendersi cura della parte vulnerabile dentro di sé.
A metà degli anni Novanta il dottor Young fondò a Manhattan il primo Schema Therapy Institute.
La Schema Therapy è oggi utilizzata in tutto il mondo è sono parecchi gli studi scientifici che ne hanno validato l’efficacia per il trattamento dei pazienti difficili.
L’ACT è un’applicazione della psicologia comportamentale contestuale, è “davvero un’Analisi del Comportamento Applicata”, come ci ricorda Kelly Wilson, uno dei co-fondatori, insieme a Steven Hayes e Kirk Strosahl, di questa psicoterapia di terza onda delle terapie cognitive e comportamentali.
E se il termine comportamentismo può suonare strano oppure curioso, ebbene sappiate che ciò di cui l’ACT si occupa è proprio il continuo flusso di attività in divenire di un organismo in interazione dinamica con il contesto in cui tale flusso accade; in altre parole, il “comportamento-nel-contesto”.
Con “comportamento”, s’intende ogni cosa che un organismo fa: camminare, parlare, sentire, sperare, desiderare, pensare, provare sentimenti, ecc…
Con “contesto”, ci si riferisce a tutto ciò che accade ad un organismo e perciò tutto quello che gli è accaduto dalla sua nascita che possa avere influenzato o modificato in qualche modo il suo comportamento e quindi sia il contesto storico riferito alla sua storia di apprendimento, sia il contesto attuale, privato e pubblico.
Comportamento e contesto sono indivisibili, non può esserci l’uno senza l’altro e ciò che nell’ACT interessa è la relazione funzionale tra contesto e comportamento piuttosto che la sua forma per spiegare e comprendere cosa una persona fa e perché, e aiutarla ad essere libera dalla sofferenza, cioè essere libera di vivere una vita che abbia senso e scopo.
Quando una persona fa qualcosa in presenza di un certo stimolo contestuale sulla base della sua storia di apprendimento, possiamo dire che c’è una relazione funzionale tra lo stimolo/contesto e la risposta/comportamento della persona.
Quando i comportamentisti parlano della “funzione di un comportamento” non stanno prendendo in considerazione lo scopo o l’intenzione di una persona quando fa qualcosa, ma si riferiscono all’impatto, alle conseguenze dell’azione di quella persona in un dato momento, in uno specifico contesto.
Per esempio, un paziente potrebbe dire: “Ho paura di poter fare del male ai miei familiari. Sono una persona terribile!” Come terapeuti noi siamo il contesto in cui avviene questo comportamento e la nostra risposta influenzerà l’altra persona in relazione al suo contesto attuale e storico. Allo stesso tempo quella cognizione, il pensare a quei contenuti (comportamento-azione), avrà un impatto/una funzione sulla persona stessa e sul terapeuta e tale conseguenza presumibilmente evocherà dei contesti privati ai quali il terapeuta potrebbe rispondere reattivamente e/o esserne inconsapevole e di conseguenza essere meno libero di scegliere quale intervento attuare.
Pertanto, diviene fondamentale che il terapeuta ACT sia consapevole e presente momento per momento e in maniera non giudicante, abile nell’osservare cosa sta accadendo in se stesso, nel paziente e nella relazione terapeutica. Questa abilità è in relazione ai processi di attenzione intenzionale e fluida e di presa di prospettiva flessibile, due dei sei processi del modello ACT.
Questi processi si intrecciano con quelli di defusione ed accettazione per riconoscere e discriminare l’esperienza del modo interno dall’esperienza del mondo esterno, e dare così vita ad uno spazio di libertà dal quale guardare con curiosità pensieri ed emozioni ed indebolire il loro controllo sulle azioni e all’interno del quale poter entrare in contatto con le conseguenze di azioni che riflettono quello che è davvero importante per noi e scegliere di impegnarci ad agire passo dopo passo verso la direzione desiderata.
La frase precedente può aprire le porte, a seconda del momento in cui ci troviamo in terapia, a processi di defusione dai pensieri o di apertura alle emozioni oppure di presa di prospettiva su di sé, ma anche di esplorazione di ciò che conta di più nella vita per il paziente.
Sempre a proposito di funzioni del comportamento-in-un-contesto, per esempio, leggete le seguenti frasi, fate una pausa dopo ogni frase e notare cosa suscitano in voi:
“Giorgio è un bambino.”
“Giorno è un bambino a cui piace mangiare i dolci.”
“Giorgio è un bambino a cui piace mangiare i dolci solo una volta alla settimana.”
Cosa avete notato? A quali funzioni del contesto, in questo caso le parole, avete risposto, (risposta = pensieri, emozioni e sensazioni corporee emersi in relazione alle funzioni dello stimolo)?
Il terapeuta attraverso i suoi interventi mira a sviluppare e potenziare i sei processi del modello ACT nel paziente per promuovere un cambiamento.
Ogni tentativo di acquisire conoscenza richiede una presa di prospettiva e non a caso questo è uno dei processi di base per fare un’esperienza di sé che trascenda un’identificazione coi contenuti della propria coscienza e che possa aprire a nuove possibilità e quindi a nuovi comportamenti e a nuove conseguenze.
L’ACT è una psicoterapia che non mira quindi alla riduzione dei sintomi come obiettivo primario, ciò può avvenire come conseguenza di un cambiamento che coinvolge i sei processi psicologici, che secondo il modello, sono alla base del funzionamento di ogni persona.
Infatti in quest’ottica, cliente e terapeuta condividono, in virtù del loro essere umani, gli stessi processi psicologici e il cliente non è considerato come una persona che “ha” un problema, che va aggiustato o che è difettoso, ma come un individuo completo i cui comportamenti sono sotto il controllo di alcuni processi che, a discapito di altri, restringono il suo repertorio comportamentale e la possibilità di vivere esperienze diverse da quelle in cui si trova e per le quali spesso giunge in terapia proprio per liberarsene.
Articolo a cura di Fabrizio Tabiani, Psicologo, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Terapeuta ACT, Terapeuta EMDR, Istruttore MBSR e MBCT.
Ho avuto recentemente occasione di intervistare per Formapsicologi Giancarlo Dimaggio sul suo ultimo libro pubblicato dalla Raffaello Cortina Editore “Un attimo prima di cadere. La rivoluzione della psicoterapia” (2020).
Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma, scrive un libro che tra saggio scientifico, autobiografia e romanzo, ci racconta di una rivoluzione che porta verso una psicoterapia rinnovata.
“La logica della rivoluzione esperenziale è sfuggire alla dimensione puramente conversazionale-narrativa della psicoterapia e coinvolgere immaginazione, corpo e comportamento”.
Dimaggio, per compiere l’impresa, parte da un autosvelamento importante, raccontandoci di un pezzo molto doloroso della sua vita, “dove sono stato io nel baratro”, passando per il suo percorso di cura in piena rivoluzione esperenziale in psicoterapia, che lo coinvolge come paziente e terapeuta.
“Quello che è successo mi ha aiutato tanto paradossalmente nel focalizzare sul processo di cura, sul processo della relazione terapeutica, sul capire i meccanismi dove andare a intervenire quando curi le persone”.
Dopo il dominio incontrastato per anni della parola, il corpo ritorna in psicoterapia, stavolta con teorie solide come alleate, grazie al contributo delle neuroscienze: tecniche antiche vengono recuperate e utilizzate con un razionale nuovo, perché la rivoluzione esperenziale “non è nel modo di usare il corpo che c’era già, ma nel renderlo parte di un discorso scientifico”.
Nel libro, Dimaggio ci fa entrare anche nella sua stanza di terapia per mostrarci il suo modo di lavorare con i pazienti:
“Quello che a me interessa è fare in modo di creare dei nuovi pattern di attribuzione di significato che partano da una componente incarnata (…) inserire il lavoro sul corpo ti permette di leggere te stesso nel mondo nella prospettiva diversa ed è una prospettiva che una volta che è stata incardinata al sensorio si memorizza più facilmente“.
Il nuovo modo di fare psicoterapia si basa quindi sul “modificare il corpo per sanare la mente” per promuovere quella “metamorfosi”, che può compiersi a patto che si sia focalizzato un momento fondamentale, quello in cui la persona si trova sul ciglio del baratro, un attimo prima di cadere: in questa finestra temporale agisce la trasformazione, attraverso tecniche quali l’immaginazione guidata con riscrittura, role-play e drammatizzazione della scena.
Il cambiamento per compiersi, tuttavia, ha bisogno necessariamente di un’altra componente importante, ossia l’allenamento tra una seduta e un’altra, per tradurre quanto appreso in terapia in un modo diverso di agire nella vita quotidiana.
Una parte del libro è dedicata anche ai terapeuti che possono avere resistenze a lavorare secondo questa modalità, legate in particolare alla paura dei propri “luoghi oscuri”, a cui Dimaggio offre consigli e suggerimenti, di cui abbiamo parlato anche nel corso dell’intervista.
“Un attimo prima di cadere. La rivoluzione della psicoterapia” è un testo che ci offre storie di rivoluzioni e che invita a compiere come terapeuti “atti di coraggio, innovazione, invenzione”, gli stessi che la psicoterapia cerca di promuovere nei pazienti per uscire dal circolo della ripetizione.
Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito il Livello 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).
Cosa è l’Emotionally Focused Therapy (EFT)? È possibile aiutare le coppie che hanno affrontato un tradimento con questo modello?
L’EFT (Emotionally Focused Therapy) è un affermato approccio umanistico alla psicoterapia formulato negli anni ’80 e sviluppato parallelamente allo sviluppo della scienza dell’attaccamento degli adulti, dando vita a una prospettiva di sviluppo profondo della personalità e delle relazioni intime. Questa scienza ha ampliato la nostra comprensione delle disfunzioni individuali e della salute, così come la natura delle relazioni d’amore e dei legami familiari.
L’attaccamento vede gli esseri umani come persone innatamente relazionali, sociali e connesse a un legame intimo con gli altri. Il modello EFT dà priorità alle emozioni e alla regolazione emotiva come agenti organizzativi fondamentali nell’esperienza individuale e nelle principali interazioni relazionali.
La ricerca sull’EFT fino ad oggi si è concentrata sui risultati e sui processi di studio del cambiamento con le coppie, e l’EFT per le coppie è il gold standard per interventi empiricamente validati in questo campo secondo l’APA (American Psychological Association).
L’EFT è principalmente conosciuto come un intervento di coppia all’avanguardia, sperimentato e collaudato, ed è anche usato per affrontare in terapia individuale (EFIT – Emotionally Focused Individual Therapy) la depressione, l’ansia e lo stress post traumatico e per riparare i legami familiari (EFFT – Emotionally Focused Family Therapy). Questo modello applica i principi della scienza dell’attaccamento utilizzando tecniche esperienziali non patologizzanti (dall’approccio umanistico di Carl Rogers) e dei sistemi relazionali (dal lavoro sistemico di Salvador Minuchin) per focalizzare e cambiare i fattori organizzativi fondamentali sia del Sé che delle relazioni chiave.
L’EFT ha anche generato molti programmi di educazione alla relazione, per esempio il programma “Hold Me Tight: Conversations for Connection” e il programma “Healing Hearts Together” per coppie nelle quali sono presenti casi di disturbi cardiaci. Inoltre si avvale di un modello specifico per lavorare con le ferite di attaccamento causate internamente alla relazione, quali ad esempio i tradimenti: L’AIRM (Attachment Injuries Repair Model – Lorrie Brubacher)
EFT per coppie (EFCT)
L’EFCT è un approccio strutturato a breve termine (da 8 a 20 sedute) specifico per le coppie. Gli interventi in EFCT integrano un approccio umanistico ed esperienziale alla ristrutturazione dell’esperienza emotiva e un approccio strutturale sistemico alle interazioni di ristrutturazione.
Esiste oggi un corpus sostanziale di ricerche sull’efficacia dell’EFCT. Questa ricerca mostra ampie misure di effetto del trattamento e risultati stabili nel tempo. L’EFCT è utilizzato con successo con molti tipi diversi di coppie nella pratica privata, nei centri di formazione universitari e nelle cliniche ospedaliere. Esistono ricerche che ne evidenziano l’efficacia in coppie in cui uno dei partner mostra diverse tipologie di sintomi come la depressione, l’ansia, il PTSD, malattie mediche, disturbi di personalità e con problemi riguardanti il perdono di ferite d’attaccamento fra i partner.
L’EFCT è utilizzato con diversi gruppi culturali e livelli di istruzione in Nord America, Australia, Nuova Zelanda, Europa, Africa e Asia e coppie LGBTQI.
Il lavoro EFT nei casi di infedeltà.
Quando la figura primaria dell’attaccamento è sia la fonte che la soluzione al dolore e alla paura in una relazione, il risultato è la rottura del legame di attaccamento e la distruzione del matrimonio (Johnson, 2005).
L’ infedeltà può apparire sotto diverse forme. In ognuna di esse, in un rapporto impegnato, può essere un immenso trauma per entrambi i partner e per il rapporto stesso. Spesso la notizia di una relazione esterna alla coppia è come una bomba che esplode nel bel mezzo della relazione, e può cogliere l’altro partner completamente di sorpresa, facendo sentire quella persona scioccata, tradita, arrabbiata, gelosa, inutile, sola o confusa.
I partner che hanno avuto la relazione possono provare senso di colpa, vergogna, perdita di rispetto per se stessi. In alcuni casi, possono sentire di aver perso la voce e l’identità e non essere in grado di affrontare il dolore che hanno causato al partner. Il tradimento sessuale nel matrimonio è estremamente distruttivo per la relazione. Quindi non solo crea un dolore inimmaginabile per il coniuge tradito, ma lacera anche il legame stesso che tiene insieme il matrimonio o la relazione.
Molte coppie vengono in terapia di coppia in un momento simile per cercare di capire cosa è appena successo nella loro relazione e per cercare di recuperare e andare avanti. Considerano una varietà di opzioni lungo il percorso, tra cui la separazione e il divorzio, e spesso è un processo lungo e faticoso per ricostruire la fiducia, l’amore e la sicurezza emotiva.
Una coppia che lavora ad una relazione deve capire perché l’infedeltà è avvenuta, e quali sono le garanzie che non accadrà più. Deve giungere a una nuova comprensione del proprio rapporto e dell’altro, e piangere la perdita dell’innocenza della relazione precedente.
Riacquistare la fiducia è un processo che richiede molto tempo e richiede nuove promesse da fare e mantenere nel tempo. Spesso, tuttavia, la coppia può giungere a una nuova comprensione reciproca che le permette di sentire una maggiore connessione e una relazione rivitalizzata anche dopo la relazione. Alcune coppie finiscono per rendersi conto che “Sì, si può ottenere il divorzio e avere una nuova relazione con un’altra persona, oppure si può cercare di avere una relazione diversa con la stessa persona”.
I difficili problemi che le coppie si trovano ad affrontare dopo un tradimento possono essere ignorati o trattati in modo superficiale da psicoterapeuti inesperti che non hanno familiarità con le esigenze di queste coppie.
Sintomi come l’eccessiva ruminazione, l’ipervigilanza e i flashback che si alternano con l’evitamento e l’intorpidimento sono sintomi chiave che hanno fatto notare ad alcuni che molti dei sintomi sperimentati dai coniugi traditi corrispondono ai sintomi del disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
In sostanza, l’episodio non è un ricordo calmo e lontano, ma è vivo e presente, continuando a tenere in ostaggio un rapporto matrimoniale alle sue forze distruttive anche dopo anni dal momento dell’evento. I ricercatori, rispetto a questo, hanno anche notato che nei casi di infedeltà, i partner usano spesso proprio il linguaggio del trauma quando descrivono la loro esperienza, comunicando in termini di vita o di morte.
Leggendo queste parole attraverso la lente della teoria dell’attaccamento, i terapeuti e i ricercatori hanno sviluppato quindi il concetto di ferite di attaccamento e hanno acquisito una migliore comprensione del loro impatto sulla coppia ferita dall’attaccamento.
In Emotionally Focused Therapy (EFT), con l’utilizzo del modello AIRM (Attachment Injuries Repair Model – Lorrie Brubacher) l’attenzione non si concentra quindi semplicemente sul contenuto del tradimento sessuale in sé, ma sugli effetti emotivi causati dal danno all’attaccamento causato dal tradimento.
Il terapeuta EFT con l’utilizzo di questo modello, strutturato in 7 movimenti e momenti specifici in cui entrambi i partner affrontano e rivivono in modo esperienziale l’evento, può quindi aiutare la coppia ad affrontare queste violazioni della fiducia, e lavorerà per fornire esperienze riparative durante la seduta che faciliteranno la riparazione del legame di attaccamento.
L’obiettivo sarà quello di migliorare i comportamenti di attaccamento, che a loro volta miglioreranno il rapporto angosciato. Il terapeuta, quindi, guiderà la coppia a identificare e comprendere le emozioni sottostanti e a stabilire modelli più sani di interazione per incoraggiare l’apertura e la fiducia tra i partner anche dopo l’evento ricostruttivo dell’evento traumatico.
Le fasi chiave identificate nella risoluzione delle ferite, sia che si tratti di coinvolgimenti extraconiugali che di altre violazioni della fiducia sono, in forma riassunta, le seguenti: [riportato da “Broken Bonds: An Emotionally Focused Approach to Infidelity – Susan M. Johnson]
1. Uno dei membri della coppia descrive il momento traumatico in cui si è sentita/o tradita, abbandonata/o e impotente, sperimentando una violazione della fiducia nella relazione e perdendo la sensazione di legame sicuro. L’incidente è dolorosamente vivo e presente piuttosto che un tranquillo ricordo. Il/la partner potrebbe negare, oppure minimizza l’incidente e il dolore dell’altro/a e spostarsi in posizione difensiva.
2. Con l’aiuto del terapeuta, il partner ferito rimane in contatto con la ferita e comincia ad articolare esplicitamente il suo impatto e il suo significato di attaccamento. A questo punto emergono spesso emozioni nuove o negate. La rabbia si evolve spesso in una chiara espressione di dolore, impotenza, paura e vergogna. Il collegamento della ferita con i cicli negativi presenti nel rapporto diventa chiaro.
3. Il partner supportato dal terapeuta comincia a sentire e a capire il significato degli eventi che hanno causato la ferita, e a capire in termini di attaccamento, come riflesso della sua importanza per l’altro/a, piuttosto che come semplice riflesso delle sue inadeguatezze personali o “sbagli”. A questo punto il partner riesce a riconoscere quindi il dolore e la sofferenza del partner ferito ed elabora come si sono evolute per lui stesso le ferite, in modo che le sue azioni diventino chiare e comprensibili per il partner ferito.
4. Il partner ferito si muove poi provvisoriamente verso un’articolazione più integrata e completa del tradimento. Con l’aiuto del terapeuta, questa narrazione è ora resa chiara e organizzata. Essa racchiude la perdita che circonda la lesione e le paure e bisogni di attaccamento. Questo partner, sostenuto dal terapeuta, permette all’altro di testimoniare la sua vulnerabilità.
5. Il partner che ha causato la ferita diventa allora più coinvolto emotivamente e riconosce la responsabilità per la sua parte nella ferita di attaccamento/infedeltà ed esprime empatia, rammarico e/o rimorso in un in modo congruente ed emotivamente impegnato.
6. Il coniuge ferito riesce a correre il rischio di chiedere il conforto e accudimento dal partner che non erano disponibili al momento dell’evento, rispetto alla scoperta dell’infedeltà o nelle precedenti discussioni della coppia sull’infedeltà/lesione.
7. L’altro membro della coppia risponde in modo aperto e premuroso che agisce come un antidoto all’esperienza traumatica della lesione da attaccamento. I partner sono quindi in grado di costruire insieme una nuova narrazione della ferita. Questa narrazione è ordinata e comprende, per il partner ferito un senso chiaro e accettabile di come l’altro è diventato e come questa relazione è ora risolta e diversa.
La coppia si ricostruisce quindi più fiduciosa, aperta e dopo questa interazione di guarigione che rinnova e ripara il legame tra loro è in grado di passare alla terza fase di consolidamento EFT.
Bibliografia essenziale
Johnson S.M. (2020), The practice of Emotionally Focused Couple Therapy, Creating Connection, 3rd Edition, Routledge, Londra.
Johnson, S.M. (2019), Attachment Theory in Practice: Emotionally Focused Therapy (EFT), Guilford, New York.
Articolo a cura di Giulia Altera (Trainer, Supervisore, Terapeuta certificata dall’ICEEFT di Ottawa in EFT, co- fondatrice della Comunità EFT Italia e Direttrice del Centro EFT Nord Italia) e Andrea Pagani (Co-fondatore della Comunità EFT Italia, Direttore dell’EFT Roma Center, Trainer, Supervisore e Terapeuta certificato dall’ICEEFT di Ottawa).
Si può prescindere dalla conoscenza della sessualità, in ambito psicologico? Ci sono degli argomenti che non necessariamente ci troviamo a dover affrontare nella nostra pratica professionale. Ad esempio, in ambito clinico, possiamo decidere di non seguire determinati tipi di pazienti per svariate ragioni, tra cui quella che non abbiamo le competenze per farlo, ma ci sono alcuni temi che non possiamo esimerci dal trovarci di fronte nel nostro lavoro, in modo trasversale.
Ad esempio, difficilmente potremo incontrare solo ed esclusivamente clienti che non hanno mai avuto a che vedere con l’uso, l’abuso o la dipendenza da sostanze nelle loro storie di vita.
Stessa cosa vale per la sessualità, ma in modo molto più esteso: i pazienti, gli sportivi, i lavoratori, i genitori, gli adolescenti, gli insegnanti, i carcerati, le persone con disabilità… tutti, ma proprio tutti coloro che si rivolgono a noi, possono portarci delle esperienze, delle difficoltà, delle influenze che riguardano la sfera sessuale.
Per lavorare con tutti i pazienti o clienti è necessario pertanto avere una conoscenza degli aspetti culturali, evolutivi, relazionali, semantici, per citarne solo alcuni, relativi alla sessualità. Sapere quali aspetti indagare in fase anamnestica, lavorare su di sé e sulle proprie difficoltà emotive, conoscere le influenze della propria educazione ed esperienza in ambito sessuale.
Per lavorare con pazienti non strettamente sessuologici ma con forti componenti sessuali dobbiamo saper fare psicoeducazione in ambito sessuale, integrare alla psicoterapia degli aspetti psicosessuologici e spesso lavorare con gli aspetti traumatici legati alla sessualità.
Il lavoro con i pazienti strettamente sessuologici richiede, infine, oltre a quanto già detto, una conoscenza specifica sul funzionamento della risposta sessuale, sui disturbi associati alle sue fasi, sulla terapia mansionale integrata; è necessario saper fare una raccolta anamnestica adeguata, essere in grado di fare una diagnosi, sapere quali sono i principali ostacoli al cambiamento, le dinamiche relazionali specifiche dentro e fuori la terapia, avere una buona gestione dei tempi della terapia legati ai singoli casi, e molto altro ancora.
Benché la conoscenza della sessualità sia importante per i professionisti del benessere psicologico in qualunque ambito essi lavorino, ci sono due macro-aree principali di interesse psicosessuologico in cui gli psicologi e le psicologhe possono decidere di lavorare e che richiedono specifiche competenze: quello educativo e quello clinico.
L’educazione sessuale non è solo quella che si fa con i minori, nelle scuole, nei consultori o negli altri ambienti frequentati da questa tipologia di utenza. Si può fare educazione sessuale anche ai genitori, agli insegnanti, agli operatori sanitari, e l’educazione alla sessualità è inoltre un aspetto importante durante tutta la vita delle persone, di cui possono usufruire con grandi benefici uomini e donne di tutte le età.
In ambito clinico possiamo trovarci ad avere a che fare con la sessualità sotto diversi aspetti, con tutti i nostri pazienti e le nostre pazienti, ma esistono casi in cui la sessualità è una componente forte o addirittura esclusiva delle richieste che ci vengono fatte.
Durante la fase anamnestica qualche informazione sulla sfera sessuale bisogna chiederla, sempre, a tutti i pazienti. Per i pazienti sessuologici, invece l’anamnesi, è più specifica e deve prevedere la storia affettiva, l’educazione sessuale ricevuta, la conoscenza del corpo e il rapporto con la sessualità, il significato che la sessualità ha per la persona, la presenza di eventi stressogeni o traumatici legati alla sessualità, e molto altro.
La sessualità è un elemento fondamentale della vita delle persone, ha a che vedere con i diritti umani ed è parte integrante del benessere personale e relazionale degli individui. Pertanto, per tornare alla domanda iniziale, chi lavora nell’ambito della salute psicologica non può esimersi dal conoscerla.
Se abbiamo un problema personale verso questo tema dobbiamo affrontarlo, lavorare su noi stessi e il nostro approccio; se sentiamo di avere delle carenze di conoscenza e competenza su questo argomento dobbiamo necessariamente documentarci e formarci.
“La sessualità è un aspetto centrale dell’essere umano nell’arco di vita e comprende il sesso, le identità e i ruoli di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione. La sessualità è sperimentata ed espressa attraverso pensieri, fantasie, desideri, credenze, attitudini, valori, comportamenti, pratiche, ruoli e relazioni”. “La sessualità è influenzata dall’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, economici, politici, culturali, legali, storici, religiosi e spirituali”.
Narcisismo, psicopatia e macchiavellismo fanno riferimento allo stesso concetto? In una ricerca pubblicata nel numero 36/2002 Journal of Research in Personality i ricercatori della University of British Columbia di Vancouver hanno indagato la cosiddetta “Triade Oscura” della personalità ovvero i concetti di narcisismo, machiavellismo e psicopatia subclinici.
Lo scopo della ricerca era di comprendere quanto questi costrutti si sovrapponessero, ovvero fossero distinti, in una popolazione di soggetti sani.
Il costrutto di Machiavellismo nasce dal lavoro di Richard Christie che partì dalla selezione di una serie di affermazioni tratte dai testi originari di Macchiavelli per la formulazione di un questionario per la valutazione della personalità manipolativa, il Mach-IV.
Il costrutto di narcisismo subclinico é stato indagato nel lavoro di Raskin e Hall’s e può essere misurato attraverso il Narcissistic Personality Inventory.
Il terzo costrutto è quello della psicopatia subclinica che è caratterizzato da alta impulsività, ricerca di emozioni, bassa empatia e bassa ansia.
Questo costrutto può essere misurato con la scala SRP self-report psychopathy.
La ricerca ha coinvolto 245 studenti di psicologia di cui il 65% donne. La procedura consisteva in due fasi. Nella prima fase ciascun partecipante si autosomministrava questionari sulla “Triade Oscura”, il Big Five e autovalutazioni sull’intelligenza.
I partecipanti in seguito venivano rivalutati da ricercatori con una misura oggettiva dell’abilità cognitiva globale e dei livelli di esagerazione e finzione (Over Claiming Questionnaire).
I dati non hanno supportato l’ipotesi che i tre costrutti siano equivalenti. Sia il narcisismo che la psicopatia sono risultati associati con l’estroversione e l’apertura mentale.
Il macchiavellismo e la psicopatia erano negativamente associati con la coscienziosità.
Solo la psicopatia era associata a basso nevroticismo. Infine, mentre nel macchiavellismo non vi era segno di bias del pavone, bias che invece si riscontrava nel narcisismo e in misura minore nella psicopatia.
Articolo a cura di Enrico Parpaglione, psicologo e psicoterapeuta, terapeuta avanzato, supervisore e trainer ST certificato dalla Società Internazionale di Schema Therapy.
Fornire ai professionisti della psicologia spunti e approfondimenti di qualità per lo sviluppo professionale.
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