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Tripofobia in bambini in età prescolare

Tripofobia in bambini in età prescolare

La tripofobia è la paura di configurazioni irregolari di piccoli buchi o protuberanze. La visione di questi stimoli ma anche di cerchi convessi, punti chiusi ed esagoni a nido d’ape può determinare paura e disgusto.

Precedenti studi sullo sviluppo della Tripofobia hanno dimostrato che i bambini di 4 anni preferiscono immagini neutre a immagini clusterizzate. Con immagini clusterizzate si intendono immagini che hanno all’interno elementi simili tra di loro.

Da questi studi non è tuttavia chiaro se lo stesso principio valga per le immagini con caratteristiche adatte a provocare tripofobia.

In questo lavoro i ricercatori hanno valutato l’esposizione a immagini tripofobiche in bambini tra i 4 e i 9 anni  utilizzando una scala di valutazione della tripofobia basata su una modifica della scala utilizzata per gli adulti.

Ai partecipanti è stato chiesto di valutare 5 immagini di tripofobia e neutre fornendo una valutazione da 1 a 4 su una scala per la valutazione di disgusto, paura, prurito, piacere.

I partecipanti di tutte le età hanno valutato come più disgustose, paurose e stimolanti prurito le immagini tripofobiche confrontandole con quelle neutre. Questi risultati suggeriscono che i bambini già a 4-5 anni rispondono alle immagini tripofobiche differentemente che a quelle neutre proprio come accade per gli adulti e che la tripofobia sembra comparire almeno dai 4-5 anni di età.

Link per approfondimenti sulla ricerca:

https://www.nature.com/articles/s41598-023-29808-1


Suzuki, C., Shirai, N., Sasaki, K. et al. Preschool children aged 4 to 5 years show discomfort with trypophobic images. Sci Rep 13, 2768 (2023). https://doi.org/10.1038/s41598-023-29808-1

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Efficacia della Schema Therapy

Efficacia della Schema Therapy

La terapia dello schema è un approccio psicoterapeutico che combina elementi della terapia cognitivo-comportamentale, della terapia psicodinamica e della terapia della gestalt per trattare disturbi di personalità e disturbi emotivi di asse I. È stata sviluppata da Jeffery Young negli anni ’90 ed è diventata sempre più popolare negli ultimi anni.

La schema therapy si basa sull’idea che gli individui hanno schemi di pensiero e di comportamento negativi che sono stati sviluppati durante l’infanzia e che continuano a influire sulla loro vita adulta. Questi schemi possono portare a problemi emotivi come la depressione, i disturbi d’ansia e la difficoltà a modulare la rabbia, nonché a disturbi di personalità come il disturbo borderline di personalità, narcisistico ecc.

La schema therapy mira ad identificare e a modificare questi schemi maladattivi precoci attraverso una serie di tecniche che sono suddivise in: esperienziali, relazionali, cognitive e comportamentali. In particolare sono rilevanti: il lavoro di rielaborazione delle scene traumatiche attraverso l’immaginazione (rescripting immaginativo), l’utilizzo di tecniche ipnotiche per collegare vissuti attuali e passati (ponte emotivo), il soddisfacimento dei bisogni infantili (limited reparenting), il superamento delle difese che impediscono l’accesso ai bisogni del paziente (dialogo col protettore) e il confronto con il paziente per quanto riguarda i suoi comportamenti problematici (confronto empatico).

Training ST 2023

La Schema Therapy è efficace?

La ricerca ha dimostrato che la terapia dello schema è efficace nel trattamento di una vasta gamma di disturbi, tra cui i disturbi d’ansia, i disturbi dell’umore e i disturbi di personalità. In uno studio del 2013, i ricercatori hanno scoperto che la Schema Therapy era più efficace del trattamento standard (basato sull’analisi del transfert) per il disturbo borderline di personalità. In un altro studio del 2015, i ricercatori hanno scoperto che la Schema Therapy era efficace nel trattamento della depressione maggiore.

Inoltre, la Schema Therapy è risultata efficace per trattare i disturbi alimentari, l’abuso di sostanze e i disturbi di personalità di cluster B. Una revisione sistematica delle ricerche sulla Schema Therapy, pubblicata nel 2016, ha concluso che c’è una forte evidenza che è efficace nel trattamento di una vasta gamma di disturbi.


Approfondimenti bibliografici

  1. Young, J. E., Klosko, J. S., & Weishaar, M. E. (2003). Schema therapy: a practitioner’s guide. New York: Guilford Press.
  2. Arntz, A., Tiesema, M., & Kindt, M. (2007). Schema therapy for borderline personality disorder. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, 38(4), 314-320.
  3. Giesen-Bloo, J., van Dyck, R., Spinhoven, P., van Tilburg, W., Dirksen, C., van Asselt, T., … & Arntz, A. (2006). Outpatient psychotherapy for borderline personality disorder: randomized trial of schema-focused therapy vs. transference-focused psychotherapy. Archives of General Psychiatry, 63(6), 649-658.
  4. Riso, L. P., du Toit, P. L., & Eisendrath, S. J. (2008). Schema therapy for personality disorders. Journal of Cognitive Psychotherapy: An International Quarterly, 22(3), 220-232.
  5. Leichsenring, F., & Leibing, E. (2003). The effectiveness of psychodynamic therapy and cognitive-behavioral therapy in the treatment of personality disorders: a meta-analysis. American Journal of Psychiatry, 160(11), 1223-1232.
  6. Chiesa, A., & Faccio, E. (2011). Schema therapy for personality disorders: a critical review. Journal of Clinical Psychology, 67(8), 717-732.
  7. Murphy, J. M., & Archer, J. (2011). The effectiveness of schema therapy for personality disorders: a meta-analysis. Journal of Nervous and Mental Disease, 199(10), 671-681.
  8. Giesen-Bloo, J., van Dyck, R., Spinhoven, P., Van Tilburg, W., Dirksen, C., van Asselt, T., … & Arntz, A. (2006). Outpatient psychotherapy for borderline personality disorder: randomized trial of schema-focused therapy vs. transference-focused psychotherapy. Archives of General Psychiatry, 63(6), 649-658.
  9. Farrell, J. M., Shaw, I. A., & Webber, M. A. (2009). The effectiveness of schema therapy in comparison to transference-focused psychotherapy for patients with borderline personality disorder: a meta-analysis. Journal of Nervous and Mental Disease, 197(2), 126-136.
  10. Smit, J. H., Koot, H. M., & Schreurs, K. J. (2010). The effectiveness of schema therapy for personality disorders: a meta-analysis. Clinical Psychology Review, 30(2), 295-306.

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Come mi posso formare in Schema Therapy?

Come mi posso formare in Schema Therapy

La formazione in Schema Therapy prevede una certificazione riconosciuta dalla società internazionale di Schema Therapy.

Puoi accedere al training se sei psicoterapeuta o se frequenti il terzo o quarto anno della scuola di specializzazione in psicoterapia.  Questo requisito non è derogabile ed è richiesto Società internazionale di Schema Therapy (https://schematherapysociety.org/page-19653).

La Società Internazionale per quanto riguarda la Schema Therapy Individuale può rilasciare un certificato base e uno avanzato.

I requisiti per la certificazione base sono:

  • Frequentare un Training riconosciuto dalla Società Internazionale di Schema Therapy e condotto da Trainer Certificati dalla stessa (la parte didattica deve essere di almeno di 25 ore, la parte esperienziale di almeno 15)
  • Svolgere almeno 20 ore di supervisione con un Supervisore
  • Far valutare da un trainer supervisore esterno al training un audio/video di una seduta di ST oltre alla concettualizzazione del caso

Il completamento del percorso di certificazione deve avvenire entro 3 anni dalla fine del training

I requisiti per la certificazione avanzata comprendono:

  • Ulteriori 20 ore di supervisione
  • La valutazione di due sessioni da parte di un rater indipendente con un punteggio minimo di 4.5

Training ST 2023

In cosa consiste il Training in Schema Therapy certificato di formapsicologi.it

Il training certificato in Schema Therapy comprende 64 ore di formazione teoriche pratiche on-line con esercizi svolti all’interno delle stanze.

La formazione viene svolta in 4 weekend da 16 ore ciascuno e viene approfondita la teoria e la pratica della Schema Therapy così come gli interventi sui disturbi di personalità borderline, narcisista, evitante e antisociale.

Il percorso rilascia 50 crediti ECM e coinvolge tre trainer e supervisori Schema Therapy certificati.

Gli argomenti trattati sono i seguenti:

La Schema Therapy: teoria e concetti

  • Bisogni di base, schemi, stili di coping e mode
  • L’assessment: interviste, tecniche immaginative, questionari, fattori temperamentali
  • Psicoeducazione: bisogni e diritti dei bambini, ambiente famigliare, schemi, temperamento, trigger, coping.
  • Concettualizzazione del caso: chiarificare il caso e gli obiettivi e bisogni in termini di schemi e mode
  • Strategie cognitive: dialogo con lo schema, diari, flashcard
  • Strategie comportamentali: rompere i pattern comportamentali
  • Strategie esperienziali: rescripting immaginativo, tecnica delle sedie, role play, dialoghi con schemi e mode, limited reparenting
  • Relazione terapeutica: confrontazione empatica, mettere i limiti, l’attivazione degli schemi del terapeuta, autoapertura

La Schema Mode Therapy per il Disturbo Borderline di Personalità

  • Il concetto di Mode
  • Lo sviluppo del modello dei mode: il concetto di mode di schema
  • I Mode: Genitore, bambino, adulto sano, di coping
  • Identificare i Mode: questionari
  • Concettualizzare il disturbo borderline con i mode
  • La relazione terapeutica e lo stile del terapeuta con il paziente borderline
  • Il luogo sicuro, la bolla di sicurezza, il diario dei mode
  • Il lavoro con il protettore distaccato e il re-parenting
  • L’intervento del terapeuta su diversi mode: genitore punitivo, genitore esigente, bambino vulnerabile, bambino arrabbiato
  • L’uso delle sedie nel lavoro con il paziente borderline
  • L’uso del rescripting immaginativo nel lavoro col trauma

La Schema Mode Therapy per il disturbo narcisistico

  • Caratteristiche del disturbo narcisistico di personalità
  • I mode caratteristici
  • Leve per il cambiamento
  • La tecnica del confronto empatico
  • Stabilire i limiti
  • Lavoro con il protettore distaccato nel disturbo narcisistico di personalità
  • Il lavoro con i mode autoconsolatore/autostimolatore
  • Il lavoro con il bambino solo/vergognoso
  • La traduzione del mode autoesaltatore nel linguaggio del bambino vulnerabile
  • L’utilizzo del’autoapertura
  • Il lavoro su di sé del terapeuta

Il disturbo evitante di personalità

  • Caratteristiche del disturbo evitante di personalità
  • I mode caratteristici
  • Intervento sui mode di coping: evitante, distaccato, autoconsolatore, arreso compiacente
  • Il lavoro sul bambino vulnerabile /solo
  • L’utilizzo di tecniche comportamentali ed esperienziali

Il disturbo antisociale di personalità

  • Caratteristiche del disturbo antisociale di personalità
  • I mode caratteristici
  • Il lavoro sul mode prepotente violento
  • Motivazione al cambiamento nel disturbo antisociale
  • Contesti di intervento
  • Stabilire i limiti
  • Tecniche cognitive, comportamentali, esperienziali, relazionali
  • Attivazione degli schemi del terapeuta
  • Cosa arriverai a padroneggiare al termine della formazione?
  • L’assessment attraverso questionari, colloquio, tecniche immaginative.
  • La concettualizzazione di un caso mediante il modello della Schema Therapy
  • Svolgere un colloquio secondo i principi della ST e utilizzare le strategie esperienziali, relazionali, cognitive, comportamentali.
  • Valutare i risultati ed individuare il termine del percorso.

Cos’è la società Internazionale di Schema Therapy (ISST)?

Si tratta dell’organizzazione associativa fondata nel 2008 che riunisce clinici, ricercatori e sostenitori della Schema Therapy.

Si occupa di gestire gli standard di formazione per i clinici, i formatori e i supervisor che si occupano di Schema Therapy.

Qual è la storia della Schema Therapy

La Schema Therapy inizia ad essere sviluppata a metà degli anni 80 da Jeffrey Young, Ph.D., per aiutare i pazienti che soffrivano cronicamente di psicopatologie e con disturbi di personalità che le psicoterapie classicamente utilizzate non riuscivano a trattare adeguatamente.

La Schema Therapy andò ad integrare in un sistema teorico semplice e coerente i contributi di altri approcci psicoterapeuti tra i quali: psicodinamico, cognitivo comportamentale, gestalt, analisi transazionale, ipnosi.

L’idea fu quella di prendere i concetti e tecniche più utili ed utilizzarli con una cornice teorica che partiva dall’identificazione dei bisogni emotivi universali.

Il modello infatti aiuta il paziente a soddisfare i suoi bisogni emotivi infantili di base attraverso l’ausilio di tecniche esperienziali, relazionali, cognitive e comportamentali.

La Schema Therapy è un approccio ottimale per trattare i traumi sia semplici che complessi utilizzando tecniche immaginative ed esperienziali.

Aiuta il paziente a riconoscere le parti di sé e a prendersi cura della parte vulnerabile dentro di sé.

A metà degli anni Novanta il dottor Young fondò a Manhattan il primo Schema Therapy Institute.

La Schema Therapy è oggi utilizzata in tutto il mondo è sono parecchi gli studi scientifici che ne hanno validato l’efficacia per il trattamento dei pazienti difficili.


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Consigli di lettura: “Prove d’autore – Corso semiserio di scrittura emotiva”

Prove d'autore - Articolo

Prove d’autore – Corso semiserio di scrittura emotiva” è un libro scritto per Algra Editore da Sarah Grisiglione, psicologa, psicoterapeuta analitico-transazionale e docente liceale, che ho letto con grande curiosità e interesse. Avere inoltre l’occasione di dialogare con lei per Formapsicologi è stata un’occasione importante di approfondimento, da cui sono uscita arricchita e con vari spunti anche per il mio lavoro da psicoterapeuta.

Partiamo dalla composizione del libro: Sarah Grisiglione ci presenta un corso di scrittura rivolto a tutti, non solo ad appassionati. Il libro è composto da 14 esercizi di scrittura che non solo l’autrice descrive nel dettaglio riportandone la traccia ma in cui si cimenta lei stessa, donandoci esempi su cui riflettere.

Ogni esercizio è corredato da poesie dell’autrice, che traggono spunto dalle emozioni emerse nel corso della sua realizzazione. In fondo a ogni esercizio ci sono anche delle pagine strutturate come fossero quelle di un quaderno a righe, permettendo al lettore di scrivere seguendo la traccia. Il libro quindi non solo costituisce occasione di apprendimento, ma anche possibilità di provare noi stessi a lasciarci guidare dagli esercizi.

L’obiettivo principale del corso presentato da Sarah Grisiglione è quello di far emergere le proprie emozioni “liberandole su un foglio” e venirne in contatto, seguendo i suoi suggerimenti.

Nel corso del nostro dialogo ampio spazio è stato dato anche all’utilizzo della scrittura emotiva in psicoterapie individuali, di gruppo e anche in contesti come quello scolastico, con esempi tratti dall’esperienza dell’autrice, specificando l’importanza di un’accurata formazione per poter usare la scrittura in ambito clinico e come sia importante valutare se essa sia il mezzo idoneo per quello specifico paziente.

Oltre a parlare dei vari esercizi leggendo anche dei passi tratti dal libro, abbiamo parlato in particolare di come la scrittura in terza persona possa aiutare il paziente a raccontare un proprio vissuto di profonda sofferenza, in un modo che ne permetta poi la successiva elaborazione. 

Confrontandoci infine sull’ultimo esercizio “Raccontate un film attraverso le emozioni provate” ci siamo anche confrontate su come il cinema possa essere un altro veicolo di espressione di tematiche su cui lavorare.

Concludendo, “Prove d’autore” è un libro che apre una finestra sull’impiego della scrittura per esplorare il proprio mondo interiore e lo fa con un approccio molto pratico, che guida il lettore a piccoli passi attraverso esercizi volti a creare personaggi, inizi o finali di storie, allo scopo di arrivare a scrivere il libro che già abita dentro di sé.

Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito i livelli 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e i livelli basic e intermediate del training in Terapia Metacognitiva Interpersonale


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Consigli di lettura: “La Terapia Metacognitiva Interpersonale di Gruppo (TMI-G) per i disturbi di personalità”

La TMI-G

Ho avuto l’occasione di intervistare per Formapsicologi Raffaele Popolo autore, insieme a Giancarlo Dimaggio e Paolo Ottavi, di un interessante libro di recente uscita per la FrancoAngeli dal titolo “La Terapia Metacognitiva Interpersonale di Gruppo (TMI-G) per i disturbi di personalità”.

Raffaele Popolo è psichiatra, psicoterapeuta e cofondatore del Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma. Nel corso del nostro dialogo, di cui è disponibile la videoregistrazione on-demand, Popolo parla con passione e accuratezza della TMI-G, un modello efficace di trattamento breve per pazienti con disturbi di personalità, validato empiricamente e fondato sulla Terapia Metacognitiva Interpersonale.

La TMI-G è composta da 16 sedute a cadenza settimanale in cui, nel corso delle prime 15 sedute, vengono presentati i Sistemi Motivazionali Interpersonali (agonistico, affiliazione/appartenenza, attaccamento, accudimento, esplorativo, sessuale e cooperativo), mentre l’ultima seduta è dedicata al confronto libero tra i partecipanti sulla propria esperienza nell’intero percorso.

Per ogni sistema motivazionale sono previste 2 sedute consecutive, ad eccezione del sistema cooperativo a cui vengono dedicate 3 sedute, sia perché tende ad essere il meno sperimentato dai pazienti con disturbo di personalità, sia per evidenziarne l’importanza ai fini del superamento delle problematiche relazionali. Ogni seduta è divisa in una prima parte psicoeducativa e in una seconda parte esperienziale, dove si  impiega la tecnica del role play. La parte psicoeducativa non è solo informativa, ma è anche preparatoria alla seconda: la presentazione di materiale inerente i sistemi motivazionali stimola infatti l’emergere di memorie autobiografiche e il contatto col proprio mondo interno.

Nel libro, come evidenziato anche nel corso dell’intervista, vengono descritte in modo approfondito tutte le caratteristiche della TMI-G (modello teorico alla base, scopi e regole del protocollo, composizione delle sedute, struttura del gruppo, indicazioni per affrontare le varie difficoltà che possono emergere …).

Il gruppo diventa quindi risorsa preziosa, in quanto contesto capace di offrire “uno spazio semi-naturalistico” in cui i pazienti possono esercitare le loro abilità metacognitive, migliorare il loro funzionamento sociale e sperimentare inoltre un senso di appartenenza e comunanza con gli altri, esperienza quest’ultima nuova per molti.

Nel corso del dialogo, abbiamo potuto approfondire anche il “dietro le quinte” della TMI-G, ossia  come è nato e come si è sviluppato il lavoro che ha portato alla sua elaborazione e anche come sia possibile integrarla con la psicoterapia individuale. Ne emerge il racconto di un importante lavoro di squadra, che promette interessanti sviluppi futuri.

Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito i livelli 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e i livelli basic e intermediate del training in Terapia Metacognitiva Interpersonale


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Consigli di lettura:  “Il diavolo prenda l’ultimo – La fuga del narcisista”

Il diavolo prenda l'ultimo

Dopo l’intervista per il libro “Un attimo prima di cadere. La rivoluzione della psicoterapia”, torno di nuovo a dialogare per Formapsicologi con Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, co-fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma. L’occasione questa volta è offerta dal suo ultimo libro pubblicato da Baldini+Castoldi, “Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista” (2021), che racconta e tratta (uso i due verbi non a caso, come si capirà meglio poi) di un disturbo spesso frutto di stigma e divulgazione non corretta: il disturbo narcisistico di personalità.

La prima impressione che ho avuto da lettrice è quella di un libro appassionante, sia per le storie narrate sia per il grande interesse psicologico che suscita. Il libro infatti è soprattutto un romanzo che si fa anche saggio, non solo per la teoria psicologica che permea la trama, ma anche per la presenza di una trattazione finale sullo stato della psicoterapia del narcisismo oggi.

Il romanzo racconta le vicissitudini di Lorenzo Sartori, un giovane psicoterapeuta che, alla fine degli anni ’90, si ritrova a confrontarsi con i primi pazienti che interrompono bruscamente la terapia, spesso senza più fare ritorno, esperienza difficile per ogni psicoterapeuta, specie alle prime armi.

Lorenzo vuole essere bravo ed è ansioso di apprendere e migliorarsi per cui, dopo aver accumulato una serie di drop out, si domanda quale sia il problema. Il romanzo segue il percorso di Lorenzo per dare risposta a questo interrogativo e, attraverso lo studio, la supervisione e la terapia personale, capirà che una parte del problema è connessa a errori tecnici commessi in seduta e un’altra fondamentale parte affonda in “luoghi oscuri” interiori connessi alla sua storia personale, su cui ancora non aveva fatto luce. Inoltre, la difficoltà di Lorenzo è anche dovuta al trovarsi di fronte a narcisisti, pazienti che mettono in crisi il terapeuta con un atteggiamento di disprezzo e sfiducia latenti. Tuttavia, dietro la facciata a tratti arrogante, a tratti provocatoria e chiusa, celano un dolore difficile da contattare ma che, in questo libro, possiamo avvicinare e comprendere.

La storia di Lorenzo si intreccia quindi con la storia dei suoi pazienti, che conosciamo attraverso le sedute descritte nel libro, raccontante con un registro ironico e allo stesso tempo sensibile, capace di dare forma con rispetto alla persona del narcisista e al suo mondo interiore oltre l’apparenza.

Nell’intervista, Dimaggio ci spiega il significato del titolo così enigmatico:

Quando ne conosci il funzionamento (del narcisista), scopri dei lati molto chiari. Il primo è che la presentazione può essere di arroganza, menzogna, superiorità, disprezzo, mancanza di empatia, inaffidabilità … tutta una serie di qualità poco gradevoli dal punto di vista umano, ma quando andiamo a osservarne l’animo, quello che rimane la sera prima di spegnere le luci, ecco lì non vedi il tiranno, vedi la persona che sta in uno spazio vitale estremamente esile perché, se smetti quella che sembra una corsa verso l’alto ma che in realtà è una fuga, se smetti di mirare a quell’eccellenza che poi dentro di te non raggiungi mai, sei dominato dal terrore che ti prenda quella figura che ti aleggia alle spalle, malevola, il diavolo (…) ma il punto è che anche per quelli che hanno possibilità di eccellere, anche lì quel terreno è pericoloso, perché dall’altro estremo dell’esistenza c’è il tiranno, come se sfidassero un’autorità superiore che ama poco essere messa in discussione.

Nel corso del dialogo, anche attraverso le numerose domande ricevute dagli spettatori al webinar, abbiamo approfondito varie interessanti tematiche tra cui: la mancanza del “motore nucleare” dell’esistenza nei narcisisti, le loro storie familiari, il dolore dell’altro come “vincolo penalizzante e paralizzante”, le problematiche nelle relazioni amorose, la comorbidità con altri disturbi ed elementi di tecnica di psicoterapia con consigli pratici per i terapeuti, anche contenuti nel saggio.

Nel finale di un’intervista ricca di molti spunti, Dimaggio ci legge un estratto del libro, un pezzo emotivamente toccante che ben rappresenta un libro che vuole raccontare con profondità storie e, allo stesso tempo, parlare con rigore e metodo della psicoterapia del narcisismo.

Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito i livelli 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e il livello basic del training in Terapia Metacognitiva Interpersonale.


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Le terapie immaginative – Claudio Widmann

Le Terapie immaginative - Claudio Widmann

Claudio Widmann è analista junghiano, membro  del CIPA (Centro Italiano di Psicologia Analitica) e della IAAP (International Association for Analytical Psychology), docente di teoria del simbolismo e di tecniche dell’immaginario in varie scuole di specializzazione in psicoterapia.

Nel corso online per Formapsicologi, Widmann offre un interessante e approfondito viaggio attraverso le molteplici terapie immaginative.

Si parte dalla loro storia, che affonda radici nell’antichità (nelle culture greca, egiziana, nativa americana, iraniana …) e si prosegue esponendo come la psicologia, nei suoi diversi orientamenti, abbia sviluppato vari approcci all’immagine mentale: ipnosi, immaginazioni libere, visualizzazioni guidate, desensibilizzazioni sistematiche ecc.

Nell’excursus di tecniche presentate, il terapeuta, in quanto rappresentante simbolico della coscienza, cambia il suo grado di intervento e di “atteggiamento attivo”: in alcune tecniche il terapeuta è molto direttivo, in altre invece non introduce forzature nello scenario del paziente, ma si limita a offrire stimolazioni per promuovere il manifestarsi di temi e l’evolversi di scenari già potenzialmente presenti (la “direttività neutra” del Rêve Eveillé Dirigé di Desoille); esistono inoltre approcci, come nell‘immaginazione autogena di Schultz, in cui il terapeuta è in silenzio e non viene esercitata nessuna suggestione verbale, cosicché l’organismo possa esprimersi in modo davvero autogeno, ossia determinato dall’interno, in un atteggiamento, anche da parte del paziente, di totale accettazione di quanto accade dentro sé stessi (“concentrazione passiva e lasciar-accadere”).

Tale disposizione psicologica la ritroviamo nell’immaginazione guidata di Jung, in cui è l’inconscio ad avere voce in capitolo, il terapeuta è come se fosse messo fuori dalla porta e tutto si sviluppa in un dialogo tra la persona e le figure del proprio immaginario.

Nel corso, oltre ad una ricca esposizione teorica, sono state condotte anche dimostrazioni pratiche. In particolare, ho avuto il piacere di partecipare all’esercizio di visualizzazione di un fiore, in cui ho provato in prima persona la meraviglia del lavoro con le immagini mentali, oltre ad essere stata una preziosa occasione per apprendere passaggi tecnici e indicazioni pratiche.

Bibliografia: Widmann, C. (2004). Le terapie immaginative. Edizioni Magi.

Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito il Livello 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).


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La Schema Therapy per il Narcisismo – Wendy T. Behary

La Schema Therapy per il Narcisismo - Wendy T.Behary

Wendy T. Behary, fondatrice e direttrice del Cognitive Therapy Center of New Jersey e degli Schema Therapy Institutes of NJ-NYC-DC., è uno dei massimi esperti internazionali di narcisismo.

Nel corso online in diretta da New York tenuto per Formapsicologi, Wendy Behary ci ha guidati alla comprensione del mondo psicologico dei narcisisti, pazienti considerati difficili per le varie criticità che possono emergere nel loro trattamento: brillanti, intelligenti e impegnati a primeggiare sempre, sono anche persone con un comportamento egocentrico, dalle tante esigenze e pretese, e che tendono a porsi su un piedistallo da cui giudicano tutto e tutti con distacco e disprezzo.

E’ quindi frequente provare come terapeuti un senso di frustrazione, specie se si attiva lo schema di inadeguatezza/senso di colpa, ma la Behary ci dice che “dobbiamo poter fare la differenza”. Pertanto, all’interno del modello teorico-clinico di riferimento della Schema Therapy, la Behary ci fornisce una guida per l’individuazione, comprensione e gestione degli schemi/mode che si attivano nel narcisista e nel terapeuta e ci presenta inoltre l’elemento essenziale, la “pepita d’oro”, del trattamento: l’empatia.

Attraverso la comprensione delle origini del narcisimo, in particolare delle esperienze infantili vissute da questi pazienti, possiamo mantenere quell’atteggiamento di confronto empatico, che previene cicli di conflitto/competizione, permettendoci inoltre di entrare in connessione con la parte più vulnerabile che il narcisista si sforza di non far vedere, il bambino solo/vergognoso, e fungere da agenti di re-parenting, non per cambiare la storia (è impossibile cambiare ciò che ormai è stato), ma per modificare come quella storia è stata costruita nella mente.

Nel lavoro terapeutico, infatti, possiamo offrire delle esperienze emotive diverse e, con il potente strumento dell’immaginazione, mediante esercizi guidati (per cui la Behary ci fornisce esempi con suoi casi clinici), possiamo far sperimentare al paziente come sarebbe stato se quella esperienza fosse stata soddisfatta: in particolare, per il narcisista, come si sentirebbe se fosse amato perchè va bene così com’è, a prescindere dalla perfomance e dal primeggiare.

Nell’infanzia dei narcisisti, infatti, comune è la presenza di figure di riferimento esigenti e critiche, che hanno trasmesso il messaggio che, per essere apprezzati, bisognasse sforzarsi per essere sempre i migliori. Il bambino cresce quindi con l’idea di non essere mai abbastanza, con un costante bisogno di ricerca di approvazione e privo di quell’amore incondizionato, che permette invece di sentirsi di valore a prescindere.

Il fatto inoltre di essere riconosciuti solo per le cose straordinarie che fanno, li porta a coltivare la percezione di essere speciali e in diritto di ottenere qualsiasi cosa vogliano.

All’interno di una cornice di regole di setting predefinite che il paziente deve rispettare per imparare a tollerare la frustrazione, il terapeuta lavora affinchè il paziente impari dapprima ad essere empatico verso sé stesso, a comprendere come si sono creati i pattern disfunzionali di comportamento e la loro funzione, oltre che le conseguenze negative a cui lo hanno portato e di cui è importante se ne assuma la responsabilità.

“Più comprendono, più capiscono che non devono fare così tanto per essere amati” e, in questo modo, è possibile “disarmare” il narcisista  affinchè si senta libero di comprendere che anche lui è un essere umano e impari ad entrare in contatto con la sofferenza del proprio bambino solo interiore e a prendersene cura mediante la parte dell’adulto sano, che si cerca di sviluppare e promuovere in terapia coinvolgendola come co-terapeuta.

Gli ostacoli nel perseguimento di questi obiettivi sono molteplici ma Wendy Behary, nel corso, ci fornisce anche utili e preziosi suggerimenti e strategie pratiche per poterli superare e far in modo che il paziente mantenga la motivazione al trattamento.

Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”. Ha conseguito il Livello 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).


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Fare ACT

Fare ACT

L’ACT è un’applicazione della psicologia comportamentale contestuale, è “davvero un’Analisi del Comportamento Applicata”, come ci ricorda Kelly Wilson, uno dei co-fondatori, insieme a Steven Hayes e Kirk Strosahl, di questa psicoterapia di terza onda delle terapie cognitive e comportamentali.


E se il termine comportamentismo può suonare strano oppure curioso, ebbene sappiate che ciò di cui l’ACT si occupa è proprio il continuo flusso di attività in divenire di un organismo in interazione dinamica con il contesto in cui tale flusso accade; in altre parole, il “comportamento-nel-contesto”.


Con “comportamento”, s’intende ogni cosa che un organismo fa: camminare, parlare, sentire, sperare, desiderare, pensare, provare sentimenti, ecc…


Con “contesto”, ci si riferisce a tutto ciò che accade ad un organismo e perciò tutto quello che gli è accaduto dalla sua nascita che possa avere influenzato o modificato in qualche modo il suo comportamento e quindi sia il contesto storico riferito alla sua storia di apprendimento, sia il contesto attuale, privato e pubblico.


Comportamento e contesto sono indivisibili, non può esserci l’uno senza l’altro e ciò che nell’ACT interessa è la relazione funzionale tra contesto e comportamento piuttosto che la sua forma per spiegare e comprendere cosa una persona fa e perché, e aiutarla ad essere libera dalla sofferenza, cioè essere libera di vivere una vita che abbia senso e scopo.


Quando una persona fa qualcosa in presenza di un certo stimolo contestuale sulla base della sua storia di apprendimento, possiamo dire che c’è una relazione funzionale tra lo stimolo/contesto e la risposta/comportamento della persona.

Quando i comportamentisti parlano della “funzione di un comportamento” non stanno prendendo in considerazione lo scopo o l’intenzione di una persona quando fa qualcosa, ma si riferiscono all’impatto, alle conseguenze dell’azione di quella persona in un dato momento, in uno specifico contesto.


Per esempio, un paziente potrebbe dire: “Ho paura di poter fare del male ai miei familiari. Sono una persona terribile!”
Come terapeuti noi siamo il contesto in cui avviene questo comportamento e la nostra risposta influenzerà l’altra persona in relazione al suo contesto attuale e storico. Allo stesso tempo quella cognizione, il pensare a quei contenuti (comportamento-azione), avrà un impatto/una funzione sulla persona stessa e sul terapeuta e tale conseguenza presumibilmente evocherà dei contesti privati ai quali il terapeuta potrebbe rispondere reattivamente e/o esserne inconsapevole e di conseguenza essere meno libero di scegliere quale intervento attuare.

Pertanto, diviene fondamentale che il terapeuta ACT sia consapevole e presente momento per momento e in maniera non giudicante, abile nell’osservare cosa sta accadendo in se stesso, nel paziente e nella relazione terapeutica. Questa abilità è in relazione ai processi di attenzione intenzionale e fluida e di presa di prospettiva flessibile, due dei sei processi del modello ACT.

Questi processi si intrecciano con quelli di defusione ed accettazione per riconoscere e discriminare l’esperienza del
modo interno dall’esperienza del mondo esterno, e dare così vita ad uno spazio di libertà dal quale guardare con curiosità pensieri ed emozioni ed indebolire il loro controllo sulle azioni e all’interno del quale poter entrare in contatto con le conseguenze di azioni che riflettono quello che è davvero importante per noi e scegliere di impegnarci ad agire passo dopo passo verso la direzione desiderata.


La frase precedente può aprire le porte, a seconda del momento in cui ci troviamo in terapia, a processi di defusione dai pensieri o di apertura alle emozioni oppure di presa di prospettiva su di sé, ma anche di esplorazione di ciò che conta di più nella vita per il paziente.


Sempre a proposito di funzioni del comportamento-in-un-contesto, per esempio, leggete le seguenti frasi, fate una pausa dopo ogni frase e notare cosa suscitano in voi:


“Giorgio è un bambino.”

“Giorno è un bambino a cui piace mangiare i dolci.”



“Giorgio è un bambino a cui piace mangiare i dolci solo una volta alla settimana.”



Cosa avete notato? A quali funzioni del contesto, in questo caso le parole, avete risposto, (risposta = pensieri, emozioni e sensazioni corporee emersi in relazione alle funzioni dello stimolo)?


Il terapeuta attraverso i suoi interventi mira a sviluppare e potenziare i sei processi del modello ACT nel paziente per promuovere un cambiamento.

Ogni tentativo di acquisire conoscenza richiede una presa di prospettiva e non a caso questo è uno dei processi di base per fare un’esperienza di sé che trascenda un’identificazione coi contenuti della propria coscienza e che possa aprire a nuove possibilità e quindi a nuovi comportamenti e a nuove conseguenze.


L’ACT è una psicoterapia che non mira quindi alla riduzione dei sintomi come obiettivo primario, ciò può avvenire come conseguenza di un cambiamento che coinvolge i sei processi psicologici, che secondo il modello, sono alla base del funzionamento di ogni persona.

Infatti in quest’ottica, cliente e terapeuta condividono, in virtù del loro essere umani, gli stessi processi psicologici e il cliente non è considerato come una persona che “ha” un problema, che va aggiustato o che è difettoso, ma come un individuo completo i cui comportamenti sono sotto il controllo di alcuni processi che, a discapito di altri, restringono il suo repertorio comportamentale e la possibilità di vivere esperienze diverse da quelle in cui si trova e per le quali spesso giunge in terapia proprio per liberarsene.

Articolo a cura di Fabrizio Tabiani, Psicologo, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Terapeuta ACT, Terapeuta EMDR, Istruttore MBSR e MBCT.

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Consigli di lettura: “Un attimo prima di cadere. La rivoluzione della psicoterapia”

Un attimo prima di cadere

Ho avuto recentemente occasione di intervistare per Formapsicologi Giancarlo Dimaggio sul suo ultimo libro pubblicato dalla Raffaello Cortina Editore “Un attimo prima di cadere. La rivoluzione della psicoterapia” (2020).

Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma, scrive un libro che tra saggio scientifico, autobiografia e romanzo, ci racconta di una rivoluzione che porta verso una psicoterapia rinnovata.

“La logica della rivoluzione esperenziale è sfuggire alla dimensione puramente conversazionale-narrativa della psicoterapia e coinvolgere immaginazione, corpo e comportamento.

Dimaggio, per compiere l’impresa, parte da un autosvelamento importante, raccontandoci di un pezzo molto doloroso della sua vita, “dove sono stato io nel baratro”, passando per il suo percorso di cura in piena rivoluzione esperenziale in psicoterapia, che lo coinvolge come paziente e terapeuta.

“Quello che è successo mi ha aiutato tanto paradossalmente nel focalizzare sul processo di cura, sul processo della relazione terapeutica, sul capire i meccanismi dove andare a intervenire quando curi le persone”.

Dopo il dominio incontrastato per anni della parola, il corpo ritorna in psicoterapia, stavolta con teorie solide come alleate, grazie al contributo delle neuroscienze: tecniche antiche vengono recuperate e utilizzate con un razionale nuovo, perché la rivoluzione esperenziale “non è nel modo di usare il corpo che c’era già, ma nel renderlo parte di un discorso scientifico”.

Nel libro, Dimaggio ci fa entrare anche nella sua stanza di terapia per mostrarci il suo modo di lavorare con i pazienti:

“Quello che a me interessa è fare in modo di creare dei nuovi pattern di attribuzione di significato che partano da una componente incarnata (…) inserire il lavoro sul corpo ti permette di leggere te stesso nel mondo nella prospettiva diversa ed è una prospettiva che una volta che è stata incardinata al sensorio si memorizza più facilmente.

Il nuovo modo di fare psicoterapia si basa quindi sul “modificare il corpo per sanare la mente” per promuovere quella “metamorfosi”, che può compiersi a patto che si sia focalizzato un momento fondamentale, quello in cui la persona si trova sul ciglio del baratro, un attimo prima di cadere: in questa finestra temporale agisce la trasformazione, attraverso tecniche quali l’immaginazione guidata con riscrittura, role-play e drammatizzazione della scena.

Il cambiamento per compiersi, tuttavia, ha bisogno necessariamente di un’altra componente importante, ossia l’allenamento tra una seduta e un’altra, per tradurre quanto appreso in terapia in un modo diverso di agire nella vita quotidiana.

Una parte del libro è dedicata anche ai terapeuti che possono avere resistenze a lavorare secondo questa modalità, legate in particolare alla paura dei propri “luoghi oscuri”, a cui Dimaggio offre consigli e suggerimenti, di cui abbiamo parlato anche nel corso dell’intervista.

Un attimo prima di cadere. La rivoluzione della psicoterapia” è un testo che ci offre storie di rivoluzioni e che invita a compiere come terapeuti “atti di coraggio, innovazione, invenzione”, gli stessi che la psicoterapia cerca di promuovere nei pazienti per uscire dal circolo della ripetizione.

Articolo a cura di Laura Lambertucci, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale presso “Studi Cognitivi”.  Ha conseguito il Livello 1 e 2 del training in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).

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Coppia, tradimento ed EFT

Coppia, tradimento ed EFT

Cosa è l’Emotionally Focused Therapy (EFT)? È possibile aiutare le coppie che hanno affrontato un tradimento con questo modello?

L’EFT (Emotionally Focused Therapy) è un affermato approccio umanistico alla psicoterapia formulato negli anni ’80 e sviluppato parallelamente allo sviluppo della scienza dell’attaccamento degli adulti, dando vita a una prospettiva di sviluppo profondo della personalità e delle relazioni intime. Questa scienza ha ampliato la nostra comprensione delle disfunzioni individuali e della salute, così come la natura delle relazioni d’amore e dei legami familiari.

L’attaccamento vede gli esseri umani come persone innatamente relazionali, sociali e connesse a un legame intimo con gli altri. Il modello EFT dà priorità alle emozioni e alla regolazione emotiva come agenti organizzativi fondamentali nell’esperienza individuale e nelle principali interazioni relazionali.

La ricerca sull’EFT fino ad oggi si è concentrata sui risultati e sui processi di studio del cambiamento con le coppie, e l’EFT per le coppie è il gold standard per interventi empiricamente validati in questo campo secondo l’APA (American Psychological Association).

L’EFT è principalmente conosciuto come un intervento di coppia all’avanguardia, sperimentato e collaudato, ed è anche usato per affrontare in terapia individuale (EFIT – Emotionally Focused Individual Therapy) la depressione, l’ansia e lo stress post traumatico e per riparare i legami familiari (EFFT – Emotionally Focused Family Therapy). Questo modello applica i principi della scienza dell’attaccamento utilizzando tecniche esperienziali non patologizzanti (dall’approccio umanistico di Carl Rogers) e dei sistemi relazionali (dal lavoro sistemico di Salvador Minuchin) per focalizzare e cambiare i fattori organizzativi fondamentali sia del Sé che delle relazioni chiave.

L’EFT ha anche generato molti programmi di educazione alla relazione, per esempio il programma “Hold Me Tight: Conversations for Connection” e il programma “Healing Hearts Together” per coppie nelle quali sono presenti casi di disturbi cardiaci. Inoltre si avvale di un modello specifico per lavorare con le ferite di attaccamento causate internamente alla relazione, quali ad esempio i tradimenti: L’AIRM (Attachment Injuries Repair Model – Lorrie Brubacher)

EFT per coppie (EFCT)

L’EFCT è un approccio strutturato a breve termine (da 8 a 20 sedute) specifico per le coppie. Gli interventi in EFCT integrano un approccio umanistico ed esperienziale alla ristrutturazione dell’esperienza emotiva e un approccio strutturale sistemico alle interazioni di ristrutturazione.

Esiste oggi un corpus sostanziale di ricerche sull’efficacia dell’EFCT. Questa ricerca mostra ampie misure di effetto del trattamento e risultati stabili nel tempo. L’EFCT è utilizzato con successo con molti tipi diversi di coppie nella pratica privata, nei centri di formazione universitari e nelle cliniche ospedaliere. Esistono ricerche che ne evidenziano l’efficacia in coppie in cui uno dei partner mostra diverse tipologie di sintomi come la depressione, l’ansia,  il PTSD, malattie mediche, disturbi di personalità e con problemi riguardanti il perdono di ferite d’attaccamento fra i partner.

L’EFCT è utilizzato con diversi gruppi culturali e livelli di istruzione in Nord America, Australia, Nuova Zelanda, Europa, Africa e Asia e coppie LGBTQI.

Il lavoro EFT nei casi di infedeltà.

Quando la figura primaria dell’attaccamento è sia la fonte che la soluzione al dolore e alla paura in una relazione, il risultato è la rottura del legame di attaccamento e la distruzione del matrimonio (Johnson, 2005).

L’ infedeltà può apparire sotto diverse forme. In ognuna di esse, in un rapporto impegnato, può essere un immenso trauma per entrambi i partner e per il rapporto stesso. Spesso la notizia di una relazione esterna alla coppia è come una bomba che esplode nel bel mezzo della relazione, e può cogliere l’altro partner completamente di sorpresa, facendo sentire quella persona scioccata, tradita, arrabbiata, gelosa, inutile, sola o confusa.

I partner che hanno avuto la relazione possono provare senso di colpa, vergogna, perdita di rispetto per se stessi. In alcuni casi, possono sentire di aver perso la voce e l’identità e non essere in grado di affrontare il dolore che hanno causato al partner. Il tradimento sessuale nel matrimonio è estremamente distruttivo per la relazione. Quindi non solo crea un dolore inimmaginabile per il coniuge tradito, ma lacera anche il legame stesso che tiene insieme il matrimonio o la relazione.

Molte coppie vengono in terapia di coppia in un momento simile per cercare di capire cosa è appena successo nella loro relazione e per cercare di recuperare e andare avanti. Considerano una varietà di opzioni lungo il percorso, tra cui la separazione e il divorzio, e spesso è un processo lungo e faticoso per ricostruire la fiducia, l’amore e la sicurezza emotiva.

Una coppia che lavora ad una relazione deve capire perché l’infedeltà è avvenuta, e quali sono le garanzie che non accadrà più. Deve giungere a una nuova comprensione del proprio rapporto e dell’altro, e piangere la perdita dell’innocenza della relazione precedente.

Riacquistare la fiducia è un processo che richiede molto tempo e richiede nuove promesse da fare e mantenere nel tempo. Spesso, tuttavia, la coppia può giungere a una nuova comprensione reciproca che le permette di sentire una maggiore connessione e una relazione rivitalizzata anche dopo la relazione. Alcune coppie finiscono per rendersi conto che “Sì, si può ottenere il divorzio e avere una nuova relazione con un’altra persona, oppure si può cercare di avere una relazione diversa con la stessa persona”.

I difficili problemi che le coppie si trovano ad affrontare dopo un tradimento possono essere ignorati o trattati in modo superficiale da psicoterapeuti inesperti che non hanno familiarità con le esigenze di queste coppie.

Sintomi come l’eccessiva ruminazione, l’ipervigilanza e i flashback che si alternano con l’evitamento e l’intorpidimento sono sintomi chiave che hanno fatto notare ad alcuni che molti dei sintomi sperimentati dai coniugi traditi corrispondono ai sintomi del disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

In sostanza, l’episodio non è un ricordo calmo e lontano, ma è vivo e presente, continuando a tenere in ostaggio un rapporto matrimoniale alle sue forze distruttive anche dopo anni dal momento dell’evento. I ricercatori, rispetto a questo, hanno anche notato che nei casi di infedeltà, i partner usano spesso proprio il linguaggio del trauma quando descrivono la loro esperienza, comunicando in termini di vita o di morte.

Leggendo queste parole attraverso la lente della teoria dell’attaccamento, i terapeuti e i ricercatori hanno sviluppato quindi il concetto di ferite di attaccamento e hanno acquisito una migliore comprensione del loro impatto sulla coppia ferita dall’attaccamento.

In Emotionally Focused Therapy (EFT), con l’utilizzo del modello AIRM (Attachment Injuries Repair Model – Lorrie Brubacher) l’attenzione non si concentra quindi semplicemente sul  contenuto del tradimento sessuale in sé, ma sugli effetti emotivi causati dal danno all’attaccamento causato dal tradimento.

Il terapeuta EFT con l’utilizzo di questo modello, strutturato in 7 movimenti e momenti specifici in cui entrambi i partner affrontano e rivivono in modo esperienziale l’evento, può quindi aiutare la coppia ad affrontare queste violazioni della fiducia, e lavorerà per fornire esperienze riparative durante la seduta che faciliteranno la riparazione del legame di attaccamento.

L’obiettivo sarà quello di migliorare i comportamenti di attaccamento, che a loro volta miglioreranno il rapporto angosciato. Il terapeuta, quindi, guiderà la coppia a identificare e comprendere le emozioni sottostanti e a stabilire modelli più sani di interazione per incoraggiare l’apertura e la fiducia tra i partner anche dopo l’evento ricostruttivo dell’evento traumatico.

Le fasi chiave identificate nella risoluzione delle ferite, sia che si tratti di coinvolgimenti extraconiugali che di altre violazioni della fiducia sono, in forma riassunta, le seguenti: [riportato da “Broken Bonds: An Emotionally Focused Approach to Infidelity – Susan M. Johnson]

1. Uno dei membri della coppia descrive il momento traumatico in cui si è sentita/o tradita, abbandonata/o e impotente, sperimentando una violazione della fiducia nella relazione e perdendo la sensazione di legame sicuro. L’incidente è dolorosamente vivo e presente piuttosto che un tranquillo ricordo. Il/la partner potrebbe negare, oppure minimizza l’incidente e il dolore dell’altro/a e spostarsi in posizione difensiva.

2. Con l’aiuto del terapeuta, il partner ferito rimane in contatto con la ferita e comincia ad articolare esplicitamente il suo impatto e il suo significato di attaccamento. A questo punto emergono spesso emozioni nuove o negate. La rabbia si evolve spesso in una chiara espressione di dolore, impotenza, paura e vergogna. Il collegamento della ferita con i cicli negativi presenti nel rapporto diventa chiaro.

3. Il partner supportato dal terapeuta comincia a sentire e a capire il significato degli eventi che hanno causato la ferita, e a capire in termini di attaccamento, come riflesso della sua importanza per l’altro/a, piuttosto che come semplice riflesso delle sue inadeguatezze personali o “sbagli”. A questo punto il partner riesce a riconoscere quindi il dolore e la sofferenza del partner ferito ed elabora come si sono evolute per lui stesso le ferite, in modo che le sue azioni diventino chiare e comprensibili per il partner ferito.

4. Il partner ferito si muove poi provvisoriamente verso un’articolazione più integrata e completa del tradimento. Con l’aiuto del terapeuta, questa narrazione è ora resa chiara e organizzata. Essa racchiude la perdita che circonda la lesione e le paure e bisogni di attaccamento. Questo partner, sostenuto dal terapeuta, permette all’altro di testimoniare la sua vulnerabilità.

5. Il partner che ha causato la ferita diventa allora più coinvolto emotivamente e riconosce la responsabilità per la sua parte nella ferita di attaccamento/infedeltà ed esprime empatia, rammarico e/o rimorso in un in modo congruente ed emotivamente impegnato.

6. Il coniuge ferito riesce a correre il rischio di chiedere il conforto e accudimento dal partner che non erano disponibili al momento dell’evento, rispetto alla scoperta dell’infedeltà o nelle precedenti discussioni della coppia sull’infedeltà/lesione.

7. L’altro membro della coppia risponde in modo aperto e premuroso che agisce come un antidoto all’esperienza traumatica della lesione da attaccamento. I partner sono quindi in grado di costruire insieme una nuova narrazione della ferita. Questa narrazione è ordinata e comprende, per il partner ferito un senso chiaro e accettabile di come l’altro è diventato e come questa relazione è ora risolta e diversa.

La coppia si ricostruisce quindi più fiduciosa, aperta e dopo questa interazione di guarigione che rinnova e ripara il legame tra loro è in grado di passare alla terza fase di consolidamento EFT.

Bibliografia essenziale

Johnson S.M. (2020), The practice of Emotionally Focused Couple Therapy, Creating Connection, 3rd Edition, Routledge, Londra.

Johnson, S.M. (2019), Attachment Theory in Practice: Emotionally Focused Therapy (EFT), Guilford, New York.

Johnson, S.M. (2014), Love Sense, ISC, Sassari.

Johnson, S.M. (2012) Stringimi Forte, ISC, Sassari.

Articolo a cura di Giulia Altera (Trainer, Supervisore, Terapeuta certificata dall’ICEEFT di Ottawa in EFT, co- fondatrice della Comunità EFT Italia e Direttrice del Centro EFT Nord Italia) e Andrea Pagani (Co-fondatore della Comunità EFT Italia, Direttore dell’EFT Roma Center, Trainer, Supervisore e Terapeuta certificato dall’ICEEFT di Ottawa).


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Si può prescindere dalla conoscenza della sessualità?

Si può prescindere dalla conoscenza della sessualità?

Si può prescindere dalla conoscenza della sessualità, in ambito psicologico? Ci sono degli argomenti che non necessariamente ci troviamo a dover affrontare nella nostra pratica professionale. Ad esempio, in ambito clinico, possiamo decidere di non seguire determinati tipi di pazienti per svariate ragioni, tra cui quella che non abbiamo le competenze per farlo, ma ci sono alcuni temi che non possiamo esimerci dal trovarci di fronte nel nostro lavoro, in modo trasversale.

Ad esempio, difficilmente potremo incontrare solo ed esclusivamente clienti che non hanno mai avuto a che vedere con l’uso, l’abuso o la dipendenza da sostanze nelle loro storie di vita.

Stessa cosa vale per la sessualità, ma in modo molto più esteso: i pazienti, gli sportivi, i lavoratori, i genitori, gli adolescenti, gli insegnanti, i carcerati, le persone con disabilità… tutti, ma proprio tutti coloro che si rivolgono a noi, possono portarci delle esperienze, delle difficoltà, delle influenze che riguardano la sfera sessuale.

Per lavorare con tutti i pazienti o clienti è necessario pertanto avere una conoscenza degli aspetti culturali, evolutivi, relazionali, semantici, per citarne solo alcuni, relativi alla sessualità. Sapere quali aspetti indagare in fase anamnestica, lavorare su di sé e sulle proprie difficoltà emotive, conoscere le influenze della propria educazione ed esperienza in ambito sessuale.

Per lavorare con pazienti non strettamente sessuologici ma con forti componenti sessuali dobbiamo saper fare psicoeducazione in ambito sessuale, integrare alla psicoterapia degli aspetti psicosessuologici e spesso lavorare con gli aspetti traumatici legati alla sessualità.

Il lavoro con i pazienti strettamente sessuologici richiede, infine, oltre a quanto già detto, una conoscenza specifica sul funzionamento della risposta sessuale, sui disturbi associati alle sue fasi, sulla terapia mansionale integrata; è necessario saper fare una raccolta anamnestica adeguata, essere in grado di fare una diagnosi, sapere quali sono i principali ostacoli al cambiamento, le dinamiche relazionali specifiche dentro e fuori la terapia, avere una buona gestione dei tempi della terapia legati ai singoli casi, e molto altro ancora.

Benché la conoscenza della sessualità sia importante per i professionisti del benessere psicologico in qualunque ambito essi lavorino, ci sono due macro-aree principali di interesse psicosessuologico in cui gli psicologi e le psicologhe possono decidere di lavorare e che richiedono specifiche competenze: quello educativo e quello clinico.

L’educazione sessuale non è solo quella che si fa con i minori, nelle scuole, nei consultori o negli altri ambienti frequentati da questa tipologia di utenza. Si può fare educazione sessuale anche ai genitori, agli insegnanti, agli operatori sanitari, e l’educazione alla sessualità è inoltre un aspetto importante durante tutta la vita delle persone, di cui possono usufruire con grandi benefici uomini e donne di tutte le età.

In ambito clinico possiamo trovarci ad avere a che fare con la sessualità sotto diversi aspetti, con tutti i nostri pazienti e le nostre pazienti, ma esistono casi in cui la sessualità è una componente forte o addirittura esclusiva delle richieste che ci vengono fatte.

Durante la fase anamnestica qualche informazione sulla sfera sessuale bisogna chiederla, sempre, a tutti i pazienti. Per i pazienti sessuologici, invece l’anamnesi, è più specifica e deve prevedere la storia affettiva, l’educazione sessuale ricevuta, la conoscenza del corpo e il rapporto con la sessualità, il significato che la sessualità ha per la persona, la presenza di eventi stressogeni o traumatici legati alla sessualità, e molto altro.


La sessualità è un elemento fondamentale della vita delle persone, ha a che vedere con i diritti umani ed è parte integrante del benessere personale e relazionale degli individui. Pertanto, per tornare alla domanda iniziale, chi lavora nell’ambito della salute psicologica non può esimersi dal conoscerla.

Se abbiamo un problema personale verso questo tema dobbiamo affrontarlo, lavorare su noi stessi e il nostro approccio; se sentiamo di avere delle carenze di conoscenza e competenza su questo argomento dobbiamo necessariamente documentarci e formarci.

“La sessualità è un aspetto centrale dell’essere umano nell’arco di vita e comprende il sesso, le identità e i ruoli di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione. La sessualità è sperimentata ed espressa attraverso pensieri, fantasie, desideri, credenze, attitudini, valori, comportamenti, pratiche, ruoli  e relazioni”. “La sessualità è influenzata dall’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, economici, politici, culturali, legali, storici, religiosi e spirituali”.

Associazione Mondiale per la Salute Sessuale (WAS) – Dichiarazione dei Diritti Sessuali

Articolo a cura di Laura Salvai, psicologa – psicoterapeuta, sessuologa clinica, terapeuta EMDR.


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